Page 7 - Teologia Mistica
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La teologia mistica, in quanto si fonda su esperienze conosciute con più perfetta
certezza, deve esser giudicata più perfetta e più certa.
Nessuno dubita che l’anima razionale, per essenza, per capacità, per operazione,
eccella al di sopra di tutte le altre creature, poco al di sotto degli angeli. Perciò, se «Dio
si conosce attraverso il creato, insieme alla sua eterna potenza e divinità» [Rm 1,20],
certamente lo si conoscerà meglio in o da quegli effetti che siano più perfetti, e in modo
più certo in quanto essi sono più certi. Ora, nessuna esperienza esteriore è più certa
dell’esperienza interiore, che viene giudicata certissima dall’anima che la compie.
Da tutto ciò deduco un bel corollario: se si chiama filosofia ogni sapere che deriva da
esperienze, la teologia mistica sarà filosofia, e coloro che la posseggono, anche se per
altro verso siano ignoranti, a buon diritto vanno chiamati filosofi. Ecco perché Cristo,
esultando spiritualmente, disse: «Ti rendo lode o Padre, Signore del cielo e della terra,
perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì,
Padre, perché così è piaciuto a te» [Mt 11,25-27], senza che noi lo meritassimo. Perciò è
scritto che la Sapienza ha parlato ai piccoli, e che la legge di Dio «dà intelligenza ai
piccoli» [Sal 118,130].
[CONSIDERAZIONE IV]
La quarta considerazione mostra che nessuno,
che non sia istruito e ricco di esperienza, può giungere
alle profondità dello spirito.
Per quanto nessuno possa conseguire perfettamente la teologia mistica se ne ignora i
princìpi, che si ottengono per esperienza interiore, tuttavia non si può trascurare di
insegnarla o di acquisirla.
Un paragone con le altre scienze della natura rende chiara la prima parte della tesi.
Se si ignora che il fuoco è caldo e l’acqua è fredda, o che l’eclissi di luna avviene
quando la terra si interpone diametralmente tra il sole e la luna stessa, o altre cose del
genere, le conseguenze tratte da questi princìpi avranno un grado di certezza solo pari o
minore a quella che si ha dei princìpi medesimi. Ora nel nostro caso la conoscenza dei
princìpi, quando c’è, c’è solo grazie alla fede e alla credenza per la quale prestiamo il
nostro assenso a chi ci racconta l’esperienza fatta.
Per chiarire la seconda parte della tesi aggiungeremo che poche o punte sono le
scienze naturali alle quali molti si accostino possedendone i princìpi per esperienza
propria; piuttosto costoro danno per presupposti molti princìpi sulla base di comprovate
asserzioni altrui. Così ci si rifà a Tolomeo per quanto riguarda l’astrologia, a Ippocrate e
a Galeno per quanto riguarda la medicina, e sappiamo che altri hanno fatto e fanno ogni
giorno così per quanto riguarda altre scienze, seguendo un retto metodo di studio.
Pitagora, Platone, Aristotele e il nostro filosofo Paolo la pensavano così. Il primo
ordinava ai suoi discepoli di tacere per cinque anni credendo solo alle sue parole; il
secondo disse che bisognava trarre profitto dalla credenza; il terzo affermò che chi
impara deve credere; il quarto disse parole quasi simili, sia pure in materia diversa:
«Bisogna che chi si avvicina a Dio creda in lui» [Eb 11,6].