Page 6 - Teologia Mistica
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17,2]:  ecco  perché  uno  dei  profeti  esclamò:  «Veramente  tu  sei  un  Dio  nascosto»  [Is
                  45,15].
                     Perciò  questo  libro  [di  Dionigi]  si  intitola  Teologia  mistica:  e  mistico  significa
                  appunto nascosto. Il primo libro non ci è pervenuto. Il secondo si chiama Nomi divini.



                                                [CONSIDERAZIONE II]

                                     La seconda considerazione tratta della negazione
                                     delle metafore [materiali con cui si nomina Dio]
                                   e spiega come nessuno, che non ne abbia esperienza,
                                   possa giudicare in qualche modo del gusto interiore.

                     Per enucleare la propria dottrina la teologia mistica si fonda sull’esperienza interiore
                  delle  anime  devote,  come  le  altre  due  forme  di  teologia  si  basano  sulle  operazioni
                  esteriori.
                     È  infatti  concorde  parere  di  tutti  i  maestri  che  la  dottrina  mistica  proceda  per
                  negazioni, dicendo cioè che Dio non è leone, bue, pietra ecc. Ma chi oserà affermare
                  che la teologia mistica si accontenti di negare  [queste metafore], senza far conoscere
                  positivamente o sperimentare qualcosa di Dio? Ora, siccome l’anima che attende alla
                  teologia mistica fa qualcosa e patisce qualcosa, necessariamente sperimenta qualcosa [di
                  Dio].
                     Ma coloro che non abbiano fatto questa esperienza interiore [di Dio] non potranno
                  mai  sapere  intimamente  e  direttamente  che  cosa  essa  sia,  come  chi  non  avesse  mai
                  amato non potrebbe dire con perfetta e intima cognizione di causa che cosa sia l’amore;
                  oppure come chi non avesse mai provato gioia o tristezza non potrebbe dire che cosa
                  siano tali passioni dell’anima. Lo stesso dicasi dei ciechi rispetto ai colori e dei sordi
                  rispetto ai suoni.
                     I  santi  chiamano  con  vari  nomi  queste  conoscenze  sperimentali  interiori  di  Dio,
                  essendo  esse  innumerevoli  per  natura  loro.  Le  chiamano  contemplazione,  estasi,
                  rapimento,  liquefazione,  trasformazione,  unione,  esultanza;  dicono  che  si  tratta  di  un
                  giubilo al di sopra dello spirito, ovvero di un esser rapiti nella divina caligine, di un
                  gustare Dio, abbracciare lo sposo, baciarlo, generare da Dio, procreare da lui il Verbo,
                  essere  introdotti  nelle  divine  stanze,  «essere  inebriati  da  un  torrente  di  piacere»  [Sal
                  35,9], «accorrere al profumo dei suoi unguenti» [Ct 1,3], «ascoltare la sua voce» [Ct
                  8,13],  entrare  «nella  camera»  [Ct  3,4],  dormire  e  trovare  quiete  «nella  pace,
                  nell’Identico» [Sal 4,9].



                                                [CONSIDERAZIONE III]

                                       La terza considerazione tratta della capacità
                                      e del giudizio dell’anima razionale, e antepone
                                  la conoscenza di un uomo semplice ma di retto sentire
                                               a quella di un dotto filosofo.
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