Page 12 - Forme dell'Intelligenza Spirituale
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altri capaci di raccontare.
                  Il conoscere di Dio è il rendere edotti, come dice l’angelo ad Abramo: Ora
                  conosco  che  tu  temi  il  Signore  (Gn  22,  12).  Infatti,  non  conosce  certo  nel
                  tempo chi sa tutto prima che avvenga, perciò si chiama il conoscere di Dio
                  il  rendere  edotti,  cosi  come  quanti  prima  erano  sconosciuti  a  se  stessi,
                  tramite le sue prove e domande rendono sé manifesti a sé. In tal modo
                  parla  Iddio  sulla  legge  data,  tramite  Mosè,  al  popolo  d’Israele:  Così  li
                  metterò alla prova per vedere se camminano nella legge o no (Es 16, 4).
                  L’ignorare  di  Dio  è  la  disapprovazione  di  certe  persone  false,  come  nel
                  Vangelo: Non so dove siete! Allontanatevi da me, voi tutti che avete commesso
                  l’iniquità (Lc 13, 27).
                  Si parla dello zelo di Dio, quando egli non vuole che una sua creatura si
                  perda, e spesso castiga, afferra e fustiga, e fustigando riconduce a sé. Si parla
                  però anche dello zelo di Dio quando egli non vuol lasciare nessun peccatore
                  impunito, poiché è giusto e detesta ogni ingiustizia.
                  Si  parla  dell’ira  di  Dio,  non  per  un  moto  o  una  qualsiasi  perturbazione
                  d’animo – che a lui in nessun modo può accadere – ma perché colpisce con
                  un giusto castigo le creature che sbagliano – cioè gli empi e i peccatori – e
                  rende loro quanto meritano: questo castigo divino è perciò chiamato il suo
                  furore (Sal 6, 1).
                  Si  parla  del  pentimento  di  Dio,  non  certo  perché  in  maniera  umana  si
                  dispiaccia  per  le  azioni  passate  –  non  può  infatti  pentirsi  delle  azioni
                  commesse chi ne conobbe gli effetti prima che accadessero – ma perché si
                  vuole intendere il suo mutare le cose stabilite, così che quanto prima era in
                  un modo viene cambiato in altro modo; dal bene al male per il peso delle
                  colpe – così ad esempio si legge che il Signore si pentì d’aver costituito re
                  Saul (1Re 15, 11); o com’è avvenuto per i Giudei che, nonostante fossero il
                  popolo di Dio, son divenuti per la loro empietà la sinagoga di Satana (Ap 2,
                  9). Viceversa, muta dal male al bene, come quando è avvenuto ai gentili,
                  che prima non erano il popolo di Dio, e ora per sua grazia lo sono divenuti
                  (Rom  9,  26).  Fu  certo  così  che,  con  segreto  giudizio  divino,  il  traditore
                  Giuda,  decaduto  dal  grado  di  apostolo  (At  1,  18),  fu  precipitato  nel
                  baratro  infernale.  Invece  il  ladrone,  che  prima  agiva  secondo  il  vizio
                  dell’avidità,  fu  trasportato  dalla  croce  al  paradiso  (Lc  32,43).  Possiamo
                  chiamare pentimento di Dio i cambiamenti dal bene al meglio, dal bene al
                  male, dal male al bene, ed essi avvengono o per la severità del suo giudizio,
                  o per la sua misericordia, com’è scritto nel libro di Geremia (Ger 18, 8).
                  Si dice che Dio non si pente, quando le cose stabilite non mutano in alcun

                  modo, com’è nel salmo: Giurato ha il Signore e non si pente (e dice il Padre al
                  Figlio): Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedech (Sal 109, 4). Il
                  Padre dice al Figlio di Dio di essere sacerdote, non secondo la divinità, ma
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