Page 7 - Del gran mezzo della Preghiera
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perché Egli trarrà dal laccio i miei piedi (Sal 24,15). Sicché altro egli non faceva che pregare
dicendo: A me volgi il tuo sguardo, e abbi pietà di me, perché io son solo e son povero (Ibid.
24,16). Gridai a te: dammi salute affinché osservi i tuoi precetti (Sal 118,146). Signore, volgete a
me gli occhi, abbiate pietà di me, e salvatemi: mentre io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi
possa aiutarmi.
Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini precetti,
specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed infermi, se non avessimo il
mezzo dell’orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce e la forza bastante per
osservarli? Fu già bestemmia quella che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo sia
assolutamente impossibile agli uomini l’osservanza della divina legge. Giansenio ancora disse che
alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le presenti forze che hanno. E sin qui la sua
proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu giustamente condannata dalla
Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava ancora la grazia divina a renderli
possibili. E’ vero, dice S. Agostino, che l’uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni
precetti con le presenti forze e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti; ma ben può con la
preghiera ottenere l’aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: Iddio non comanda cose
impossibili, ma nel comandare ti avvisa di fare quel che puoi, e chiedere quel che non puoi, ed
aiuta affinché tu lo possa (De nat. et grat. cap. XLIII). E’ celebre questo testo del Santo, che poi fu
adottato e fatto dogma di fede dal Concilio di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi immediatamente
soggiunse il santo Dottore: Vediamo in che modo... (cioè, come l’uomo può fare quel che non può).
Per mezzo della medicina potrà quello che non può per la sua infermità (Ibid. cap. LXIX). E vuol
dire che con la preghiera otteniamo il rimedio alla nostra debolezza; poiché pregando noi, Iddio ci
dona la forza a far quel che noi non possiamo.
Non possiamo già credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci
l’osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e perciò dice il Santo,
che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far
le cose difficili con l’aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI,
cap. LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze?
Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad ottenere con l’orazione l’aiuto per
fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb. c. 16). E in altro luogo: La legge fu data affinché
domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge (De sp. et lit. c. 19).
La legge non può osservarsi senza la grazia; e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi
sempre lo supplicassimo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: La legge è buona per
chi ne usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge? (Serm. 156).
E risponde: riconoscere per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino aiuto
onde conseguire la salute (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della
legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad
osservarla, affinché poi impetriamo, col pregare, l’aiuto divino che sana la nostra debolezza.
Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che possiamo
resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo noi la nostra
debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo con tutta umiltà alla sua
misericordia (Serm. v. De Quadrag.). Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di
pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò permette che ci assaltino
nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la preghiera otteniamo dalla sua misericordia
l’aiuto a resistere.
Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si
raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci
toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere
ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura
con l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non
ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio
Nisseno: L’orazione è il presidio della pudicizia (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: