Page 126 - Confessioni
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sapendo e volendo, so di esistere e volere, voglio esistere e sapere. Come sia inscindibile la vita in queste
tre facoltà e siano un’unica vita, un’unica intelligenza e un’unica essenza, come infine non si possa
stabilire questa distinzione, che pure esiste, lo veda chi può. Ciascuno è davanti a se stesso; guardi in se
stesso, veda e mi risponda. Ma quand’anche avrà scoperto su ciò qualcosa e saprà esprimerlo, non s’illuda
di aver scoperto finalmente l’Essere che sovrasta immutabile il mondo, immutabilmente esiste,
immutabilmente sa e immutabilmente vuole. L’esistenza anche in Dio di queste tre facoltà costituisce la
sua trinità, o questa triplice facoltà si trova in ognuna delle tre persone, così da essere tre in ognuna? o
entrambi i casi si verificano in modi mirabili entro una semplicità molteplice, essendo la Trinità in sé per
sé fine infinito, così da essere una cosa sola, e come tale conoscersi e bastarsi immutabilmente nella
grande abbondanza della sua unità? Chi potrebbe avere facilmente questo concetto? chi esprimerlo in
qualche modo? e pronunciarsi, in qualsiasi modo temerariamente?
L’umanità morta e risorta, nei primi tre versetti della Genesi
12. 13. Procedi nella tua confessione, o mia fede. Di’ al Signore Dio tuo: “Santo, santo, santo Signore Dio
mio”. Nel tuo nome siamo stati battezzati, Padre e Figlio e Spirito Santo; nel tuo nome battezziamo, Padre
e Figlio e Spirito Santo. Anche presso di noi nel suo Cristo Dio creò il cielo e la terra, ossia i membri
spirituali e carnali della sua Chiesa; anche la nostra terra prima di ricevere la forma della dottrina era
invisibile e confusa, e noi eravamo immersi nelle tenebre dell’ignoranza, perché hai ammaestrato l’uomo
per la sua cattiveria e i tuoi giudizi sono un abisso profondo. Ma poiché il tuo spirito era portato sopra
l’acqua, la tua misericordia non abbandonò la nostra miseria. Dicesti: “Sia fatta la luce: fate penitenza,
poiché il regno dei cieli è vicino. Fate penitenza: sia fatta la luce”. Nell’intimo turbamento della nostra
anima ci siamo ricordati di te, Signore, dalle rive del Giordano e dal monte uguale a te, però rimpicciolito
per noi. Provammo disgusto delle nostre tenebre e ci volgemmo verso di te: e fu fatta la luce. Ed eccoci
un tempo tenebre, ora invece luce nel Signore.
L’attesa della Chiesa militante
13. 14. Tuttavia finora siamo luce per la fede, non ancora per la visione. Nella speranza fummo salvati, e
una speranza che si vede, non è speranza. L’abisso chiama ancora l’abisso, ma ormai con la voce delle
tue cateratte. Chi dice ancora: “Non potei parlarvi come a esseri spirituali, ma carnali”, pensa di non
aver ancora capito nemmeno lui. Dimentico delle cose che stanno dietro le spalle, si protende verso quelle
che stanno innanzi e geme sotto il peso del suo fardello. La sua anima ha sete del Dio vivo come i cervi
delle fonti d’acqua. Perciò dice: “Quando giungerò?”. Desideroso di essere rivestito della sua abitazione
celeste, così apostrofa l’abisso inferiore: “Non uniformatevi a questo secolo, riformatevi invece,
rinnovando il vostro cuore”; e così: “Non dovete divenire fanciulli di mente, ma siate piccoli nella
malizia per essere perfetti di mente”; e così: “O galati insensati, chi vi ha incantato?”. Ma non è più la
sua voce; è la tua, sei tu, che hai mandato il tuo spirito dal cielo per mezzo di Colui, che ascendendo in
alto aprì le cateratte dei suoi doni, affinché la piena del fiume rallegrasse la tua città. Per lei sospira
l’amico dello sposo, avendo già con sé le primizie dello spirito, ma ancora gemebondo fra sé nell’attesa
dell’adozione, la redenzione del suo corpo. Per lei sospira, poiché è membro della sposa; per lei si
affanna, poiché è amico dello sposo; per lei si affanna, non per sé, poiché con la voce delle tue cateratte,
non con la voce sua, invoca l’altro abisso, oggetto del suo affanno e del suo timore. Teme che come il
serpente ingannò Eva con la sua astuzia, così anche i loro pensieri non si corrompano allontanandosi
dalla castità, che è nel nostro Sposo, il tuo unigenito. Ma quale non sarà lo splendore della sua luce,
allorché lo vedremo com’è, e saranno passate le lacrime, che sono divenute il pane dei miei giorni e delle
mie notti, mentre mi si chiede quotidianamente: “Ov’è il tuo Dio?”.
Fede e speranza
14. 15. Anch’io dico: “Dio mio, dove sei?”. Ecco dove sei! Respiro in te un poco, quando effondo su me
la mia anima in un grido di esultanza e di lode, concento di una celebrazione festosa. Eppure l’anima è
ancora triste, poiché ricade e torna abisso, o piuttosto sente di essere ancora abisso. La mia fede, da te
accesa nella notte innanzi ai miei passi, le dice: “Perché sei triste, o anima, e perché mi turbi? Spera nel
Signore. La sua Parola è lucerna che rischiara i tuoi passi. Spera e persevera finché sia passata la notte,
madre degli empi; finché sia passata la collera del Signore, collera di cui fummo figli anche noi, un tempo
tenebre. I residui di quelle tenebre ci trasciniamo dietro nel nostro corpo morto per colpa del peccato,
Agostino – Confessioni pag. 124 di 134