Page 12 - Commento Mistico al Cantico dei Cantici
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quello che si potrebbe definire lo stato apostolico, grazie al quale l’anima è non solo
sposa ma anche feconda, perché Dio come bocca è unito per qualche tempo all’anima,
prima di renderla feconda della sua propria fecondità.
Alcuni affermano che tale unione può avvenire solamente nell’altra vita; io invece
sono convinta che essa può avvenire in questa, con la differenza che in questa vita si
possiede senza vedere, e nell’altra si vede quel che si possiede. Ora io dico che, sebbene
la visione di Dio sia una prerogativa della gloria necessaria alla sua consumazione, essa
non costituisce tuttavia la beatitudine essenziale: infatti siamo felici quando possediamo
il bene supremo, e possiamo gioirne e possederlo senza vederlo. Ne gioiamo qui, nella
notte della fede, dove abbiamo la felicità del godimento senza avere il piacere della
vista, mentre nell’altra vita avremo la chiara visione di Dio assieme alla felicità di
possederlo. Tale accecamento non impedisce tuttavia né il vero possesso, né il reale
godimento dell’oggetto, né la consumazione del matrimonio divino, così come della
reale comunicazione del Verbo all’Anima. Ciò è perfettamente vero, e verrà
riconosciuto da tutti coloro che hanno esperienza.
Può essere inoltre risolta qui la difficoltà sollevata da alcune persone spirituali, le
quali non ammettono che l’anima, una volta pervenuta in Dio (il che costituisce lo stato
dell’unione essenziale), parli di Gesù Cristo e dei propri stati interiori, sostenendo che
per tale anima questo stato è passato. Convengo con costoro che l’unione con Gesù
Cristo ha ampiamente preceduto l’unione essenziale, dato che l’unione con Gesù Cristo
come persona divina si sperimenta nell’unione delle potenze, e che l’unione con Cristo
uomo Dio è la prima di tutte e si compie sin dall’inizio della vita che illumina. Ma per
quanto riguarda la comunicazione del Verbo all’Anima, io dico che, così come i frutti e
le opere del matrimonio si compiono solo dopo che esso è stato consumato, allo stesso
modo prima che le venga fatta tale comunicazione divina occorre che l’anima sia giunta
in Dio solo, e che vi si sia stabilita mediante l’unione essenziale e il matrimonio
spirituale.
Questo è più vero di quanto si possa dire. Ciò che rende differente l’unione con Dio
rispetto alle altre unioni è che Dio possiede qui l’intera anima ininterrottamente; nelle
unioni con gli esseri creati l’oggetto può essere posseduto solo per alcuni istanti, dato
che le creature sono a noi esterne, mentre il godimento di Dio è permanente e duraturo,
perché è interno a noi stessi e perché, essendo Dio il nostro fine ultimo, l’anima può
incessantemente fluire in lui in qualità di suo termine e suo centro, ed esservi mescolata
e trasformata senza mai uscirne: così come un fiume, che è un’acqua sgorgata dal mare
e ben distinta da esso, trovandosi lontano dalla sua origine cerca con varie agitazioni di
avvicinarsi al mare sino a quando, essendovi infine nuovamente sfociato, vi si perde e vi
si mescola così come vi si era perduto e mescolato prima di allontanarsene, e non può
più venirne distinto.
Si deve ancora osservare che, creandoci, Dio ci ha dato una partecipazione del suo
essere di natura tale da essere riunita a lui, e al tempo stesso una tendenza a questa
riunificazione. Qualcosa di simile egli ha dato al corpo umano per quanto riguarda
l’uomo nello stato di innocenza, traendolo dall’uomo stesso, in modo da dargli questa
tendenza all’unione come alla sua origine. Ma, attuandosi tra corpi del tutto materiali,
tale unione non può essere che materiale e molto limitata, dato che essa avviene tra
corpi solidi e impenetrabili. Perché ciò sia compreso meglio, ci si può servire
dell’immagine di un metallo che si voglia unire a un altro di diversa specie: per quanto
li si faccia fondere per unirli insieme, essi non possono legarsi perfettamente in quanto
sono di natura dissimile; migliore riuscita si ha nella fusione di un metallo con un altro