Page 31 - Utilità del Credere
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La Sapienza stessa si è incarnata per farsi maestra nella vita.
16. 34. È questa, credilo, l’autorità più salutare, questa la prima elevazione
della nostra mente dalla sua dimora terrestre, questa la conversione
dall’amore per questo mondo all’amore per il vero Dio. L’autorità è l’unica
che induce gli stolti ad affrettarsi verso la sapienza. Finché non siamo in
grado di comprendere le cose nella loro purezza, è indubbiamente
sgradevole essere ingannati dall’autorità, ma è di certo ancora più
sgradevole non esserne toccati. Se infatti la divina Provvidenza non presiede
alle cose umane, non c’è affatto motivo di preoccuparsi per la religione. Se
invece, da una parte, la bellezza di tutte le cose - che si deve credere
sicuramente emanata da una qualche sorgente di autentica bellezza - e,
dall’altra, una non so qual coscienza interiore sollecitano, per così dire in
forma collettiva e individuale, gli animi migliori a cercare Dio e a servirlo,
allora non si deve perdere la speranza che esista una qualche autorità,
costituita da Dio stesso, sulla quale appoggiarci, come su un solido gradino,
per elevarci verso Dio. Ora, questa autorità, se si prescinde dalla ragione che,
come spesso abbiamo detto, molto difficilmente è compresa dagli stolti nella
sua purezza, ci tocca in due modi: in parte con i miracoli, in parte con la
moltitudine di quelli che la seguono. È indubitabile che il sapiente non ha
bisogno di nessuna di queste cose. Ma ora per noi si tratta di riuscire ad
essere sapienti, cioè di aderire alla verità, cosa che di certo è irrealizzabile
per un animo abietto. L’abiezione dell’animo, per dirla in breve, consiste
nell’amore per qualsiasi oggetto all’infuori dell’anima e di Dio; ebbene,
quanto più uno ne è immune, tanto più facilmente attinge il vero.
Pretendere, quindi, di vedere il vero per purificare lo spirito, quando invece
bisogna essere puri per vederlo, di certo significa sconvolgere l’ordine e
procedere alla rovescia. All’uomo, dunque, che non è capace di attingere la
verità, viene in aiuto l’autorità, perché ne divenga capace e si lasci purificare.
E, come ho detto poco fa, tutti ammettono che essa riesce a far ciò in parte
con i miracoli e in parte con la moltitudine. Chiamo miracolo tutto ciò che
appare oltremodo difficile o insolito, che va al di là delle aspettative o delle
facoltà di chi ne rimane sorpreso. In questo genere di cose niente è più adatto
al popolo e, in particolare, agli uomini stolti di ciò che è avvertito mediante i
sensi. Ma, dal canto loro, i miracoli si dividono in due specie: ve ne sono
alcuni, infatti, che provocano solo meraviglia; altri invece che ispirano anche
gratitudine e benevolenza. Infatti, se qualcuno vede un uomo che vola si
meraviglia soltanto, dal momento che la cosa non porta allo spettatore altro
vantaggio all’infuori dello spettacolo in se stesso. Se qualcuno invece, affetto
da una malattia grave e incurabile, guarisce immediatamente non appena ne
è stato dato l’ordine, proverà per la sua guarigione, nei confronti di colui che
lo ha guarito, un amore superiore alla meraviglia. Di questo genere sono i
fatti accaduti nel tempo in cui Dio si mostrava, per quanto era consentito,