Page 37 - Metodo breve per fare Orazione
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dall’azione di Dio (potendo fare delle azioni di nostra spontanea volontà) è sicuramente
un atto molto meritorio poiché ubbidiamo perfettamente a Dio. Credevo di aver spiegato
a sufficienza questo punto nel capitolo sugli atti (cap. XXI), perché non si trovassero
difficoltà. Inoltre ho fatto notare nel capitolo XII, parlando del silenzio interiore (3 e 4),
che esso non era causato dalla penuria ma dall’abbondanza di un’operazione interiore
più forte della nostra che, facendoci tacere a tutto è su tutto, ci insegna questo linguag-
gio della Divinità.
Non è quindi un silenzio causato da un’inazione vaga e inventata da uno spirito imma-
ginario, ma un’ubbidienza al volere divino. Se, secondo la Scrittura, «ubbidire a Dio è
meglio che offrire il grasso delle pecore» (1Re 15,22), è facile concludere che questa
ubbidienza praticata nel silenzio interiore, quando Dio lo forma in noi, è un’opera molto
buona.
12. Infatti non ho preteso di parlare, in quest’opera, per le anime che, non avendo nes-
suna attrazione interiore né alcuna mortificazione, si inventano delle devozioni a modo
loro. Ma per quelle che, entrando nella pratica della rinuncia interiore ed esteriore, se-
guono Gesù Cristo lungo lo stretto sentiero della croce e della morte a se stesse, pratica-
no i consigli evangelici per quanto è in loro potere, e soprattutto la povertà di spirito che
non è altro che l’umiltà sincera: povertà di spirito che è fondamento e base della vita
spirituale. Se noi viviamo secondo lo spirito, è certo che moriremo al nostro uomo car-
nale. E se ci separeremo da tutto ciò che non è Dio, ci uniremo a Dio soltanto. Ma così
come la pratica del rinunciare a tutto ci fa vivere di vita spirituale, e ci comunica sempre
più questa vita, anche la vita spirituale, praticata come abbiamo detto, ci fa rinunciare
sempre più a noi stessi. Infatti chi volesse aspettare di essere completamente distaccato
per vivere della vita spirituale, non potendo arrivare alla completa rinuncia se non tra-
mite questa vita, on ci arriverebbe mai. Allo stesso modo colui che pretende di essere
spirituale senza rinunciare a se stesso, segue una chimera di cui non verrà mai a capo.
L’interiorità intesa bene è la fonte della vita: è la pace e la gioia dello Spirito Santo.
L’interiorità intesa male e inventata dalla propria volontà sarebbe una fonte di morte.
13. Si è trovata molta difficoltà in quello che viene detto nel capitolo XV, sulla confes-
sione. Credo che gli spiriti pieni di rettitudine non ne avrebbero trovata, se ci si fosse
spiegati chiaramente. Non intendevo affatto che la maniera di esaminare di cui si era
parlato fosse adatta a tutti. Immaginavo di averlo chiarito dicendo che «l’esame deve
essere conforme allo stato dell’anima». Intendevo parlare solo per le anime che Dio at-
trae singolarmente e che conduce in modo particolare, la cui operazione suprema vieta
spesso il ragionamento e la riflessione e nel cuore delle quali Dio infonde un amore pie-
no di devozione, un amore doloroso e un dolore amoroso, che spesso le fa tacere ai pie-
di di un confessore che conosce la loro semplicità. Non ho mai creduto né preteso che
questa fosse una pratica adatta ai comuni cristiani. Buon Dio, quanto ti sono lontani co-
loro i quali, essendo del tutto carnali, vivono solo per i sensi e non conoscono nessuna
operazione dello Spirito Santo nelle anime!
14. Quando nello stesso capitolo (4) ho parlato dell’oblio degli errori, mi rivolgevo solo
alle anime pure che, grazie alla misericordia di Dio, sono liberate dalla volontà di pec-
care, anche se non sono esenti dalle debolezze legate alla natura corrotta. Queste perso-
ne, alle quali Dio non lascia passare neanche il minimo errore senza rimproverarglielo,
si stupiscono spesso del fatto che, quando si confessano, queste debolezze scompaiono