Page 40 - Metodo breve per fare Orazione
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20. L’ultima difficoltà sta nel fatto che si dice che ho voluto stabilire uno stato perma-
                  nente e di conferma in grazia, dal quale non si potrebbe recedere in questa vita.
                  A questo rispondo che effettivamente ho avuto la pretesa di stabilire uno stato perma-
                  nente, ma non uno stato dal quale non si possa recedere. Mi spiego.
                  Chiamo uno stato permanente per l’interiorità quello che è affrancato dalle continue vi-
                  cissitudini che si provano agli inizi della vita spirituale prima che un’abitudine prolun-
                  gata abbia stabilito l’anima nel bene, e che l’esercizio della presenza di Dio abbia reso
                  questa presenza quasi naturale, e prima che dalla lontananza in cui ci tiene la volontà
                  propria ci abbia fatto entrare nella perfetta rassegnazione nella maniera che abbiamo già
                  spiegato. È quella che io chiamo permanenza, non avendo mai pensato né alla giustizia
                  né alla grazia santificante, ed essendo troppo ignorante per sapere queste cose. Ho quin-
                  di voluto parlare di questa permanenza, di cui lo stesso Gesù Cristo ci ha parlato e che
                  san Giovanni ci insegna in maniera così bella nelle sue lettere. Parlando della perfetta
                  rassegnazione Gesù Cristo ha detto: «Se qualcuno fa la mia volontà, verremo a Lui e di-
                  moreremo in Lui» (Gv 14,23). Questa dimora indica una permanenza interiore. Gesù
                  Cristo non ci dice forse: «Dimorate nel mio amore» (Gv 15,9), e san Giovanni: «colui
                  che dimora nella carità dimora in Dio» (1 Gv 4,16)? e così il resto delle sue lettere, che
                  qui non cito per non dilungarmi troppo. E san Paolo non ha detto: «Noi siamo certi» –
                  questa parola è molto espressiva – «che né la morte, né la vita... ci separerà mai dalla
                  carità di Dio che è in Gesù Cristo Nostro Signore» (Rm 8,38-39)?
                  Non c’è niente che non abbia un senso positivo e un senso eccellente. Se si vuol leggere
                  questo libriccino con un atteggiamento pieno di carità, come, a quanto pare, esige la
                  semplicità con la quale è stato scritto, sono sicura che i dubbi che in esso sono stati tro-
                  vati svaniranno facilmente e che la carità del lettore, supplendo alla mia ignoranza, gli
                  farà gustare la verità che ho voluto dire, anche se espressa malamente. Ho sempre scrit-
                  to per ubbidienza, e ho sottomesso tutto quello che ho scritto, e lo sottometto ancora, af-
                  fermando che preferirei morire piuttosto che allontanarmi anche di poco dallo Spirito
                  della Chiesa. Di conseguenza non mi sono preoccupata di quello che si poteva fare di
                  questo libriccino. Qualunque sarà la sua sorte, sarò contenta, poiché cerco unicamente la
                  volontà di Dio che si trova tanto nella distruzione delle nostre opere quanto nel loro
                  successo.

                                                                                            aprile 1690
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