Page 78 - Teologia Mistica
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CONSIDERAZIONE SESTA

                     All’amore infuso dall’alto si accompagna una conoscenza in atto che ne percepisce
                  intellettualmente la presenza: una conoscenza, cioè, grazie alla quale l’anima avverte di
                  amare e provar gioia in Dio, o piuttosto di essere, in forza dell’amore, unita in modo
                  ineffabile e sconosciuto a qualcosa di ineffabile e sconosciuto.
                     Per  comprendere  ciò,  rifacciamoci  al  passo  del  Cantico  [in  cui  l’amato  dice]:
                  «Distogli da me i tuoi occhi, perché essi mi hanno fatto sparire [= avolare]» [Ct 6,4].
                  Da  esso  si  deduce  che  l’anima  razionale  ha  due  occhi:  l’uno  è  la  facoltà  cognitiva,
                  l’altro la facoltà del sentimento. Questo secondo occhio viene detto appropriatamente
                  occhio dell’amore, o occhio della sposa, del quale ancora nel Cantico è detto: «Mi hai
                  ferito  il  cuore  con  uno  dei  tuoi  occhi»  [Ct  4,9].  Ora  succede  che  quando  l’anima  è
                  condotta nel suo diletto dall’occhio dell’amore,  se tenta di capire [con l’occhio della
                  conoscenza] cosa sia quel che ama, subito l’amore sparisce [ = evolat]: ecco perché [in
                  Ct  6,4]  si  dice  che  l’amato  sparisce.  Tuttavia  è  possibile  che  l’amore  rimanga  e  che
                  insieme ad esso persista per un certo periodo anche la conoscenza di questo amore.
                     Se  le  cose  non  stessero  così,  non  si  sarebbe  potuto  insegnare  o  scrivere  alcunché
                  sulla  teologia  mistica;  ad  esempio  che  essa  consista  nel  congiungimento  amoroso
                  dell’amato con l’amata, che essa superi ogni comprensione, che ferisca e che congiunga
                  a qualcosa di ineffabile e sconosciuto in modo ineffabile e sconosciuto, come in una
                  divina caligine, e molte altre cose simili.


                                             CONSIDERAZIONE SETTIMA

                     Il  suddetto  amore  infuso  dall’alto  può  rimanere  [in  noi]  senza  la  carità,  come  la
                  profezia, la fede, la speranza e gli altri carismi: perciò tale amore non è segno infallibile
                  della grazia che rende graditi a Dio.
                     Si accorda con questa affermazione l’insegnamento comune dei maestri, secondo il
                  quale nessuno può sapere se possegga o meno la carità, come è scritto: nessuno «sa se è
                  degno  di  amore  o  di  odio»  [Ec  9,1]  —  ma  questo  passo  sembra  doversi  intendere
                  dell’amore di predestinazione e dell’odio di riprovazione.
                     Questa  tesi  costituisce  un  elogio  della  carità,  e  inoltre  vuol  suggerire  che  «chi  si
                  gloria»,  della  conoscenza  dei  misteri,  «si  glorii  nel  Signore»  [1Cor  1,31].  Dice
                  l’Apostolo:  «Conoscessi  pure  tutti  i  misteri»,  tra  i  quali  vi  è  certamente  anche  la
                  teologia mistica, «se non ho la carità, sono un niente» [1Cor 13,2].
                     La  verità  è  che  talvolta  i  maestri,  e  segnatamente  Ugo  di  Balma,  parlano  della
                  sapienza mistica come se fosse un dono o una beatitudine e dicono che include la carità.
                  Perciò Ugo dice che questa sapienza è un dono più ricco della semplice grazia che rende
                  graditi a Dio: nel senso che è sia grazia santificante sia sapienza saporosa e dilettevole.


                                             CONSIDERAZIONE OTTAVA

                     L’amore  libero  ed  esplicito  risiede  per  natura  sua  in  quell’apice  della  mente  che
                  alcuni chiamano sinderesi, senza che la mente si renda conto di amare esplicitamente
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