Page 7 - Gli otto spiriti malvagi
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impetuoso non piegherà la torre e l’animosità non trascina via l’anima mansueta.
L’acqua è mossa dalla violenza dei venti e l’iracondo è agitato dai pensieri dissennati. Il
monaco iracondo vede qualcuno e arrota i denti. La diffusione della nebbia condensa
l’aria e il moto dell’ira annebbia la mente dell’iracondo. La nube procedendo offusca il
sole e così il pensiero rancoroso ottunde la mente. Il leone in gabbia scuote
continuamente i cardini come il violento nella cella (quando è assalito) dal pensiero
dell’ira. È deliziosa la vista di un mare tranquillo, ma non è certo più dilettosa di uno
stato di pace: infatti i delfini nuotano nel mare in bonaccia e i pensieri volti a Dio si
immergono in uno stato di serenità. Il monaco magnanimo è una fonte tranquilla,
gradevole bevanda offerta a tutti, mentre la mente dell’iracondo è continuamente agitata
ed egli non darà l’acqua all’assetato e, se gliela darà, sarà intorbidata e nociva; gli occhi
dell’animoso sono sconvolti e iniettati di sangue e annunziano un cuore in tumulto. Il
volto del magnanimo mostra assennatezza e gli occhi benigni sono rivolti verso il basso.
Capitolo 10
La mansuetudine dell’uomo è ricordata da Dio e l’anima mite diviene il tempio dello
Spirito Santo. Cristo reclina il capo in spirito mite e solo la mente pacifica diviene
dimora della Santa Trinità. Le volpi allignano nell’anima rancorosa e le fiere si
appiattano nel cuore sconvolto. Fugge l’uomo onesto l’alloggio malfamato, e Dio un
cuore rancoroso. Una pietra che cade in acqua la agita, come un cattivo discorso il cuore
dell’uomo. Allontana dalla tua anima i pensieri dell’ira e non bivacchi l’animosità nel
recinto del tuo cuore e non lo turbi nel momento della preghiera: infatti come il fumo
della paglia offusca la vista così la mente è turbata dal livore durante la preghiera. I
pensieri dell’animoso sono prole di vipera e divorano il cuore che li ha generati. La sua
preghiera è un incenso abominevole ed il salmodiare dà un suono sgradevole. Il dono
del rancoroso è come un’offerta che brulica di formiche e di certo non si avvicinerà agli
altari aspersi di acqua lustrale. L’animoso avrà sogni turbati e l’iracondo si immaginerà
assalti di belve. L’uomo magnanimo ha la visione di consessi di santi angeli e colui che
non porta rancore si esercita con discorsi spirituali e nella notte riceve la soluzione dei
misteri.
Capitolo 11
La tristezza
Il monaco affetto dalla tristezza non conosce il piacere spirituale: la tristezza è un
abbattimento dell’anima e si forma dai pensieri dell’ira. Il desiderio di vendetta, infatti,
è proprio dell’ira, l’insuccesso della vendetta genera la tristezza; la tristezza è la bocca
del leone e facilmente divora colui che si rattrista. La tristezza è un verme del cuore e
mangia la madre che l’ha generato. Soffre la madre quando partorisce il figlio, ma, una
volta sgravata, è libera dal dolore; la tristezza, invece, mentre è generata, provoca
lunghe doglie e, sopravvivendo, dopo i travagli, non porta minori sofferenze. Il monaco
triste non conosce la letizia spirituale, come colui che ha una forte febbre non avverte il
sapore del miele. Il monaco triste non saprà muovere la mente verso la contemplazione
né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza è un impedimento per ogni bene. Avere
i piedi legati è un impedimento per la corsa, così la tristezza è un ostacolo per la
contemplazione. Il prigioniero dei barbari è legato con catene e la tristezza lega colui
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