Page 10 - Elogio dei perfetti cristiani
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urna-no, o quanto meno più umano del solito. Ora invece aggiungi peso a peso,
                  sovrapponi durezze a durezze. Non erano abbastanza pesanti le mani di Mosè?
                  Sei venuto per castigarci con flagelli»? O forse per rendere più pesante il nostro
                  giogo? Non ci è permesso di amare gli amici, e neppure di odiare i nemici? O
                  autore  di  nuove  leggi,  chi  può  intendere  il  tuo  linguaggio?  Cerchi  forse
                  un’occasione per perderci? Il tuo nome non è Gesù? Non sei tu il nostro Dio, il
                  Dio che salva? Sei allora il Dio che perde? No, no! Ma perché allora mi comandi
                  di non odiare il mio nemico, anzi di amarlo? Come posso arrivarci? Ecco, basta
                  che io sia provocato da una minima parola ingiuriosa, e subito tutto arde dentro
                  di me, mi infiammo d’ira, il mio cuore brucia dalla voglia di vendicarsi, la mia
                  lingua si avventa all’insulto. Sono momenti in cui non conosco Dio, non ritrovo
                  più  nella  mente  le  tue  leggi.  E  tu  dici:  «Se  qualcuno  si  adira  con  il  proprio
                  fratello sarà sottoposto a giudizio». Se poi dico al fratello «stupido» o «pazzo»
                  tu mi spaventi ancora di più, poiché sono da sottoporre al sinedrio o al fuoco
                  della Geenna. E non c’è alcun dubbio: tu hai dato i tuoi precetti perché siano
                  osservati fedelmente.
                  Voglio  dire  la  verità:  io  posso  essere  immemore  dei  benefici,  ma  non  posso
                  esserlo delle ingiurie. Per natura sono a tal punto figlio dell’ira che non posso
                  astenermi dal cadere nell’ira. Ma tu, Gesù, puoi forse di questo essere adirato,
                  tu che non permetti a me di adirarmi, e neppure di turbarmi lievemente o di
                  mormorare entro di me contro il nemico? Chi mi darà di render saldo il cuore, sì
                  ch’io  per nulla  mi turbi e ad ogni ingiuria  diventi insensibile? Chi ci  darà  di
                  compiere ciò che vuoi che compiamo, di soffrire ciò che vuoi che soffriamo, se
                  tu non ci darai la tua benedizione, o legislatore? Chi ci darà questo, se tu non ci
                  verrai  incontro  con  dolci  benedizioni,  se  noi  non  rimarremo  nell’amore  tuo
                  dolce? Orientate all’amore le cose amare diventano dolci e quelle dure si fanno
                  tenere; soltanto nell’amore il tuo giogo è dolce e il tuo carico leggero. Per chi
                  ama che c’è di difficile? Anche l’ordine dato con rigore è più soave se accolto
                  nella carità. Sì, perché paziente è la carità, forte è la carità; non si stanca per la
                  fatica, non si abbatte per il carico; tutto copre, tutto sopporta; consapevole di un
                  santo pudore, nei confronti di Dio è quasi spudorata; arrossisce di fronte a ciò
                  che è ignobile, ma non delle parole di Cristo, non dell’obbrobrio di Cristo né
                  dell’esempio di Cristo. Cristo, che ha dato compimento alla legge, ha insegnato
                  ciò che bisogna fare; e quel che ha insegnato l’ha adempiuto in se stesso e ha
                  proposto se stesso come esempio. Tutto ciò che Cristo ha fatto e insegnato a fare
                  può certamente parere degno di disprezzo agli occhi del mondo; tuttavia non è
                  certo  privo  dello  splendore  della  vera  bellezza.  La  povertà  di  Cristo,  la  sua
                  umiltà è spregevole agli occhi del mondo; ma non c’è dubbio che anche per i
                  poveri di Cristo il mondo è a sua volta spregevole. Si hanno così due realtà che
                  si disprezzano a vicenda, poiché il mondo disprezza ciò da cui è disprezzato.
                  Tuttavia ciò che porta il mondo a disprezzare è l’alterigia della superbia; ciò che
                  lo porta ad essere disprezzato è la nobiltà dell’umiltà.
                  Perché  la  vera  umiltà,  quella  di  Cristo,  ha  in  qualche  modo  in  se  stessa
                  l’orgoglio  di  una  nobile  superbia.  Essa  rifiuta  di  servire  sotto  il  giogo  del
                  peccato,  ha  l’audacia  di  calpestare  in  virtù  della  propria  forza  ogni  vana
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