Page 133 - Confessioni
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interpretazioni; e così la terra si riempie di germi degli uomini, trasparendo la sua aridità alla brama del
sapere, e dominandola la ragione.
L’erba e gli alberi simbolo del soccorso prestato agli evangelizzatori (Gn 1. 29)
25. 38. Voglio ancora dire, Signore Dio mio, i pensieri che mi suggerisce il seguito della tua Scrittura.
Dirò senza timore, perché dirò la verità, ispirandomi tu a dire ciò che volesti ch’io dicessi di quelle parole.
Non credo di dire il vero per ispirazione di altri, che tua: tu sei la verità, ogni uomo invece è menzognero.
Perciò chi dice una menzogna dice del suo; per dire il vero, devo dire del tuo. Ecco, tu ci desti per cibo
ogni erba da seminare che semina il proprio seme, sopra tutta la terra, e ogni albero che porta su di sé il
frutto del proprio seme da seminare. E non solo a noi, ma anche a tutti gli uccelli del cielo, agli animali
della terra e ai serpenti. Non li desti invece ai pesci e ai grandi cetacei. Dicevamo infatti come questi frutti
della terra designino e rappresentino allegoricamente le opere di misericordia, che offre per le esigenze
della vita presente la terra ferace. Era di questa terra il pio Onesiforo, sulla cui casa spargesti
misericordia, poiché sovente rifocillò il tuo Paolo e non arrossì delle sue catene. Così fecero, e fruttarono
di questa messe, anche i fratelli che dalla Macedonia fornirono a Paolo ciò che gli mancava. Come Paolo
si duole invece di certi alberi, che non avevano dato il frutto a lui dovuto, là dove dice: “Al tempo della
mia prima difesa nessuno mi assistette, ma tutti mi abbandonarono. Che Dio non gliene chieda
ragione!”. È un cibo dovuto ai dispensatori di una dottrina razionale attraverso la comprensione dei
misteri divini; a loro dovuto come uomini, ma a loro dovuto anche come anime vive, che si offrono a
modello di mortificazioni d’ogni genere; e così a loro dovuto come volatili per le benedizioni che
moltiplicano sulla terra, poiché su tutta la terra si diffuse la loro voce.
Intenzione spirituale dell’offerta
26. 39. Si nutrono di questi cibi coloro che li gustano, e non li gustano coloro che hanno per dio il ventre;
agli stessi che li offrono, il frutto non è l’offerta, ma l’intenzione dell’offerta. Vedo bene di che gode il
servitore di Dio e non del proprio ventre; lo vedo e ne gioisco intensamente con lui. Aveva ricevuto da
Epafrodito i doni inviati dai filippesi, ma di che gode lo vedo. Di che gode, di lì anche si nutre. Parlando
schiettamente, dice: “Ho goduto straordinariamente nel Signore, perché infine una volta avete
rigerminato il pensiero di me, a cui pensavate, ma poi vi siete intorpiditi”. Costoro dunque si erano
guastati e inariditi, per così dire, in un lungo torpore infecondo di opere buone, ed egli gode per loro, che
abbiano rigerminato, non per sé, che sia stato soccorso nell’indigenza. Dunque prosegue dicendo: “Non
perché io abbia bisogno, parlo così. Imparai infatti a bastarmi con ciò che ho. So essere povero come so
vivere nell’abbondanza. In tutto e dappertutto mi sono avvezzato a essere sazio e affamato, ad avere
abbondanza e soffrire miseria. Tutto posso in Colui che mi fortifica”.
Godimento per il valore spirituale del beneficio
26. 40. Di che godi dunque, o grande Paolo? Di che godi, di che ti nutri, uomo rinnovato nella
conoscenza di Dio secondo l’immagine del tuo creatore, anima viva per la sua mortificazione così
intensa, lingua alata che predica i misteri? A tali anime è certamente dovuto questo cibo. Che ti nutre,
dunque? La gioia. Ascoltiamo il seguito: “Eppure - dice - avete fatto bene a condividere la mia angustia”.
Ecco di che gode, ecco di che si nutre: della loro buona azione, non del suo sollievo dall’angustia. Può
dirti: “Nell’angustia mi hai aperto un varco”, perché sa avere abbondanza e soffrire miseria in te, che
gliene dài la forza. “Anche voi infatti, o filippesi, scrive, sapete come all’inizio della mia predicazione
evangelica, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi concesse un conto di crediti e debiti,
eccetto voi soli. Voi m’inviaste a Tessalonica una prima e una seconda volta di che far fronte alle mie
necessità”. Ora gode che siano tornati alle buone pratiche, e si rallegra che abbiano rigerminato, come un
campo rinverdito a fertilità.
26. 41. Pensava forse alle proprie necessità quando scriveva: “inviaste di che far fronte alle mie
necessità”? gode per questo? No, non per questo. Come lo sappiamo? Perché egli stesso prosegue
dicendo: “Non cerco il dono, ma ricerco il frutto”. Ho imparato da te, Dio mio, a distinguere fra il dono e
il frutto. Il dono è la cosa in sé, donata da chi offre il necessario, ad esempio denaro, cibo, bevanda,
vestito, riparo, aiuto. Il frutto invece è la buona e retta volontà del donatore. Il buon Maestro non si limitò
a dire: “Chi accoglierà un profeta”, ma soggiunse: “perché profeta”; non si limitò a dire: “chi accoglierà
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