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12. Ora riprendiamo per sommi capi tutte le cose dette: raduniamo assieme quel che si è
                  esposto più diffusamente, e tutto apparirà più chiaro. Dalle osservazioni fatte a partire
                  dagli esempi citati puoi vedere quanto strettamente siano uniti fra loro i gradini di cui si
                  è detto, e come ciascuno preceda l’altro sia nel tempo che nel rapporto di causalità. La
                  lettura  viene  prima  a  mo’  di  fondamento,  ci  fornisce  l’argomento  e  ci  conduce  alla
                  meditazione.  La  meditazione  indaga  più  a  fondo  che  cosa  si  debba  perseguire,  e
                  scavando trova il tesoro (cf. Pr 2,4 e Mt 13,44) e lo mostra; ma poiché da se stessa non è
                  capace di conservarlo ci conduce all’orazione. L’orazione, elevandosi a Dio con tutte le
                  sue forze, consegue il tesoro desiderato che è la soavità della contemplazione: e questa
                  con il suo sopravvenire ci ricompensa di tutta la fatica dei primi tre gradini inebriando
                  l’anima  assetata  con  una  rugiada  di  dolcezza  celeste.  La  lettura  è  un  esercizio  che
                  riguarda l’esterno, la meditazione è una comprensione che riguarda l’interno, l’orazione
                  riguarda  il  desiderio,  la  contemplazione  supera  ogni  capacità  di  percezione.  Il  primo
                  gradino è di quanti intraprendono la strada, il secondo è di quanti sono già un po’ avanti,
                  il terzo è di quanti non si posseggono più, il quarto è di quanti hanno raggiunto la pace.

                  13.  I  gradini  di  cui  stiamo  trattando  sono  strettamente  concatenati  e  si  servono  l’un
                  l’altro  con  un  vicendevole  aiuto:  quelli  che  precedono  giovano  a  poco  o nulla senza
                  quelli che seguono, e mai o quasi mai si possono acquisire quelli che seguono senza
                  quelli  che  precedono.  Che  giova  infatti  occupare  il  proprio  tempo  in  una  continua
                  lettura, percorrere le gesta e gli scritti dei santi, se con la masticazione e la ruminazione
                  non  ne  estraiamo  il  succo  e  poi  non  lo  assimiliamo  e  non  lo  facciamo penetrare nel
                  profondo del cuore? Solo allora saremo in grado di considerare con attenzione la nostra
                  realtà e di tendere a vivere come loro: grande infatti è la passione con cui leggiamo e
                  rileggiamo  le  loro  imprese.  E  d’altra  parte,  come  rifletteremo  su  queste  cose,  come
                  potremo fare attenzione a non superare con una meditazione falsa e vana i confini posti
                  dai santi padri, se non saremo stati precedentemente istruiti al riguardo con la lettura o
                  con l’ascolto? Sì, perché anche l’ascolto ha in qualche modo a che fare con la lettura:
                  per questo noi diciamo di aver letto non solo quei libri che abbiamo letto da noi o che ci
                  siamo fatti leggere da altri, ma anche quelli di cui abbiamo ascoltato l’esposizione fatta
                  dai maestri.
                  Allo stesso modo, che giova all’uomo aver capito grazie alla meditazione quel che deve
                  fare,  se  con  l’aiuto  dell’orazione  e  con  la  grazia  di  Dio  non  prende  forza  per
                  conquistarlo? Poiché ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende
                  dal Padre della luce (Gc 1,17), senza il quale nulla possiamo: è lui che compie in noi le
                  sue opere, anche se non certo senza di noi. Siamo infatti collaboratori di Dio, come dice
                  l’apostolo (1Cor 3,9); Dio vuole che noi lo preghiamo, vuole che quando la grazia viene
                  e bussa alla porta noi le apriamo gl’intimi recessi della nostra volontà (cf. Ap 3,20) e
                  consentiamo ad essa.
                  Questo consentimento è ciò che esigeva il Signore dalla Samaritana quando le disse:
                  «Chiama tuo marito» (Gv 4,16). In certo modo egli le diceva: «Io voglio infonderti la
                  grazia,  tu  metti  in  opera  il  tuo  libero  arbitrio».  Esigeva  da  lei  l’orazione:  «Se  tu
                  conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gli avresti
                  chiesto acqua viva»  (Gv 4,10). Quand’ebbe udito ciò in questa sorta di lettura fattagli
                  dal Signore, la donna fu istruita, e meditò in cuor suo che sarebbe stato per lei buono e
                  utile bere di quell’acqua. Allora, infiammata dal desiderio di possederla, si volse verso
                  l’orazione  dicendo:  «Signore,  dammi  di  quest’acqua  perché  non  abbia  più  sete»  (Gv





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