Page 5 - Scala Clautralium
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Ma che fare? Essa arde dal desiderio di possedere e tuttavia non trova in se stessa come
giungere a possedere; e quanto più ci pensa tanto più ne ha sete. Rende più intensa la
meditazione, rende più intensa anche la sofferenza, perché non prova quella dolcezza
che la meditazione gli mostra racchiusa nella purezza di cuore e che però non gli dona.
Non appartiene infatti né a chi legge né a chi medita il provare questa dolcezza, se non è
stato dato dall’alto (Gv 19,11). Leggere e meditare è sia dei buoni che dei malvagi, e gli
stessi filosofi pagani hanno saputo trovare, sotto la guida della ragione, in che consiste
l’essenza del vero bene. Ma poiché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria
come a Dio, e anzi, troppo presumendo delle proprie forze dicevano: «Magnificheremo
la nostra lingua, le nostre labbra sono in nostro potere» (Rm 1,21; Sal 12,5), non hanno
meritato di afferrare ciò che pure erano riusciti a scorgere. Hanno vaneggiato nei loro
ragionamenti ed è svanita la loro perizia (Rm 1,21; Sal 107,27), acquisita com’era nello
studio delle discipline umane invece che nello Spirito di sapienza. Eppure è lui che solo
dà la vera sapienza, cioè quella scienza saporosa che rallegra con un nutrimento di
inestimabile prelibatezza l’anima in cui penetra; quella sapienza di cui è detto: «La
sapienza non entra in un’anima che opera il male» (Sap 1,4). Essa procede unicamente
da Dio: per cui così come il Signore concesse a molti il potere di battezzare ma tenne
per sé il potere e l’autorità di rimettere i peccati nel battesimo, onde Giovanni solo di lui
poté dire, ad esclusione di chiunque altro: «Egli è colui che battezza» (Gv 1,33), allo
stesso modo noi possiamo dire di lui: «Egli è colui che dà sapore alla sapienza e rende
saporosa per l’anima la scienza». La parola è data a tutti, la sapienza interiore a pochi,
perché è il Signore che la distribuisce a chi vuole e quando vuole.
6. L’anima vede dunque che non può giungere con le sue forze alla dolcezza della
conoscenza e dell’esperienza, oggetto del suo desiderio. Vede anzi che quanto più nel
suo cuore s’innalza, Dio si fa distante (Sal 64,7-8). Allora si umilia e si rifugia
nell’orazione. Così essa parla: «Signore che non ti lasci vedere se non dai cuori puri, io
mi applico attraverso la lettura e la meditazione a capire cosa sia e come si possa
ottenere la vera purezza di cuore, sì da giungere attraverso di essa a conoscerti
foss’anche in misura minima. Ho cercato il tuo volto, Signore, il tuo volto, Signore, ho
cercato; ho meditato a lungo nel mio cuore, e nella meditazione è divampato un gran
fuoco (Sal 27,8; Sal 77,7; Sal 39,4) e un immenso desiderio di conoscerti più a fondo.
Tu spezzi per me il pane della sacra Scrittura e nello spezzare del pane ti fai conoscere a
me (Lc 24,35). Avviene allora che quanto più ti conosco, tanto più desidero conoscerti,
non soltanto nella scorza della lettera, ma nella percezione sensibile dell’esperienza.
Non lo chiedo a causa dei miei meriti, Signore, ma per la tua misericordia. Io sono
un’anima indegna e peccatrice, lo confesso; ma anche i cagnolini si cibano delle briciole
che cadono dalla tavola dei loro padroni (Mt 15,27). Dammi dunque un pegno
dell’eredità futura, Signore, dammi almeno una goccia di pioggia celeste che procuri un
po’ di refrigerio alla mia sete, perché sono febbricitante d’amore» (cf. Lc 16,24; Ct 2,5).
7. Con queste e altre simili ardenti parole l’anima infiamma il desiderio; mostra così il
potere della sua invocazione e con la malia di questi canti attira a sé lo Sposo. Il
Signore, i cui occhi sono sui giusti e i cui orecchi non sono solo attenti alle loro
preghiere, ma sono nelle loro preghiere (Sal 34,16; 1Pt 3,12), non attende che il discorso
sia finito: spezza il fluire tranquillo dell’orazione e sollecito irrompe, sollecito viene
incontro all’anima desiderante, tutto cosparso di quella rugiada che è la dolcezza del
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