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4,15). Ecco, l’ascolto della parola del Signore e la successiva meditazione di essa
l’aveva stimolata all’orazione. Come sarebbe stata spinta a chiedere se prima non
l’avesse infiammata la meditazione? Che cosa le avrebbe offerto la meditazione se
l’orazione non fosse sopraggiunta a domandare ciò che le era apparso come l’oggetto
della sua ricerca? Perché la meditazione sia fruttuosa bisogna che segua ad essa
un’orazione fervente: la dolcezza della contemplazione ne sarà per così dire l’effetto.
14. Da tutto ciò possiamo dedurre che la lettura senza meditazione è arida, la
meditazione senza lettura è soggetta a errore, l’orazione senza meditazione è tiepida, la
meditazione senza orazione è infruttuosa. L’orazione fatta con fervore porta all’acquisto
della contemplazione, mentre il dono della contemplazione senza orazione è raro o
miracoloso. Il Signore infatti, la cui potenza è senza confini e la cui misericordia si
estende al di sopra di tutte le sue opere, di tanto in tanto fa sorgere figli di Abramo dalle
pietre (Mt 3,9), forzando quanti sono induriti e ribelli a sottomettersi nell’accettazione:
prodigo di doni trascina il toro per le corna, come dice il proverbio, ogni volta che si
intromette senza esser chiamato e che si effonde senza esser cercato. Questo, a quanto
leggiamo, è accaduto talvolta ad alcuni, come a Paolo e a qualcun altro. Ma non
dobbiamo per questo attender simili doni anche per noi tentando Dio; dobbiamo invece
fare ciò che ci viene richiesto, leggere e meditare la legge divina, pregare Dio che venga
in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26) e veda ciò che in noi è incompiuto. È lui stesso
che ci insegna a far questo quando dice: «Chiedete e otterrete, cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). Infatti quaggiù il regno dei cieli soffre violenza e i
violenti se ne impadroniscono (Mt 11,12).
Una volta fissate le differenze fra i gradini si possono individuare anche le loro
caratteristiche e capire quale sia il loro reciproco legame e il loro effetto su di noi. Beato
l’uomo il cui spirito, libero da ogni altra preoccupazione, desidera trattenersi senza posa
su questi quattro gradini; che venduti tutti i suoi averi compra quel campo in cui si cela
il tesoro desiderabile del soffermarsi e del vedere quanto è buono il Signore (Mt 13,44;
Sal 46,11 e Sal 34,9); che attivo sul primo gradino, osservatore instancabile sul secondo,
fervente sul terzo, elevato al di sopra di sé sul quarto, grazie a queste salite che pone nel
suo cuore sale di dono in dono fino a vedere il Dio degli dèi in Sion (Sal 84,6.8). Beato
colui cui è concesso di restare anche solo per breve tempo in questo gradino più alto, e
che può dire in verità: «Ecco che sento la grazia di Dio, ecco che contemplo con Pietro e
Giovanni la sua gloria sul monte, ecco che mi rallegro con Giacobbe degli amplessi
della bella Rachele».
Ma ponga costui anche attenzione a se stesso: non gli avvenga, dopo la contemplazione
che l’ha innalzato fino ai cieli, di precipitare in una caduta disordinata fino agli abissi, di
volgersi, dopo essere stato visitato da una grazia così grande, alle rilassatezze della
mondanità e alle lusinghe della carne. Piuttosto, quando la punta della mente umana
nella sua debolezza non riesce più a sostenere lo splendore della vera luce, procuri di
scendere dolcemente e con ordine su uno dei tre gradini per i quali era asceso. Si
soffermi di volta in volta ora su uno ora su un altro, secondo il movimento della propria
libertà interiore e tenendo conto del luogo e del momento: anche se, mi sembra, sarà
tanto più vicino a Dio quanto più sarà lontano dal primo gradino.
Ma ahimè, quanto fragile e miserevole è la condizione umana! Ecco, guidati dalla
ragione e dalle testimonianze della Scrittura abbiamo visto chiaramente che la pienezza
d’una vita beata è racchiusa in questi quattro gradini e che ad essi deve volgersi tutta la
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