Page 5 - La Gerarchia Celeste
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CAPITOLO II

                   Come si pervenga all'intelligenza delle cose divine e celesti per mezzo dei segni
                  che non sono simili loro.


                   ARGOMENTO. - I. Si espone la divisione di tutta l'opera. - II. Si avverte
                  che i simboli coi quali sono adombrate le cose spirituali e celesti non
                  rassomigliano a quelle; e si previene una obiezione dichiarando perché in
                  queste descrizioni figurative vengono adoperati gli esseri meno nobili a
                  preferenza dei più nobili. - III. Si espone come nel trattare questo
                  soggetto si possono usare due metodi: l'uno che consiste nell'offrire la
                  realtà sotto l'artifizio di segni che loro rassomigliano; l'altro sotto orme
                  che son loro diametralmente opposte; allo stesso modo che si può parlar
                  di Dio per affermazione o per negazione. - IV. Si insegna che nessuna
                  cosa é assolutamente cattiva; e si spiega perché la collera, la
                  concupiscenza e le altre passioni possono essere attribuite agli Angeli. -
                  V. Si rammenta infine che le Scritture indicano Dio stesso col nome della
                  sostanza di grado supremo, inferiore e intermedio.


                   I.  Ho  creduto  opportuno  dunque  di  procedere  nel  modo  che  segue:
                  esporre cioè, prima di tutto, lo scopo delle diverse gerarchie e il vantaggio
                  che  ne  deriva  alle  loro  varie  parti;  inoltre  celebrare  i  cori  angelici,
                  attenendomi a ciò che di essi ci dicono i santi insegnamenti, ed esporre
                  infine  sotto  quali  forme  gli  ordini  invisibili  ci  sono  rappresentati  dalla
                  Scrittura,  ed  a  quale  concezione  puramente  spirituale  quei  simboli
                  debbano  riportarci.  Poiché  non  bisogna  credere,  con  l'empia  ignoranza
                  dell'uomo volgare, che quelle nobili e pure intelligenze abbiano piedi o
                  volti, né che ostentino la forma dello stupido bove e del feroce leone, né
                  che  assomiglino  menomamente  all'imperiale  aquila  o  agli  altri  leggeri
                  abitatori dell'aria (Ezechiele. I,7). E neppure che siano carri di fuoco che si
                  muovono per i cieli, né troni materiali destinati a sostenere il Dio degli
                  dei,  (Daniele,  VII,9)  né  corsieri  dai  ricchi  manti,  né  condottieri
                  superbamente  armati,  (Zaccaria.  I,  8)  né  alcuna  cosa  di  tutto  ciò  che
                  menzionano  le  Scritture  col  loro  linguaggio  sì  fecondo  di  pii  simboli
                  (Libro dei Maccabei, 111, 25; Giosuè, V, 13). Se la Teologia, parlando dei
                  puri spiriti, ricorse alla poesia di quelle sante finzioni, ciò fece, come s'è
                  detto,  per  riguardo  al  nostro  modo  di  concepire,  e  per  aprirci  verso  le
                  realtà superiori così raffigurate, quel cammino che solo può percorrere la
                  nostra imperfetta natura.
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