Page 43 - L'unione con Dio
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questa volontà come mezzo per glorificare Dio e per santificare le nostre
                  anime  (Mt.  6,  10).  Infine  ci  dice  pure  che  se  ci  conformiamo  a  questa
                  volontà  suprema,  saremo  suoi  fratelli  (Mt.  12,  50;  Mc.  3,  35).  Quando
                  dunque  certe  persone  pie  si  domandano  se  amano  Dio  e  se  potranno
                  amarlo sempre, basterebbe rivolgere loro la stessa interrogazione in altri
                  termini: compiono esse, possono esse compiere la volontà di Dio, e i loro
                  doveri per Iddio? Così posta, la questione si risolve da sé. La ragione di
                  tale dottrina è semplicissima: amare qualcuno significa volergli bene. Ora,
                  un  bene  di  Dio  è  la  sua  benefica  volontà  su  noi.  Il  Nostro  Signore  e
                  Maestro  richiamò  questo  principio  quando  disse:  “Sarete  miei  amici  se
                  farete quello che io vi comando” (Gv. 15, 4).

                         (53)  In  virtù  dello  stesso  principio,  bisogna  anche  ricordare
                  costantemente questa norma, incontestabile quanto obliata, che cioè si ha
                  il merito del bene che si vorrebbe effettivamente fare, ma che non si può
                  compiere in realtà; come si ha il demerito del male che si vorrebbe fare
                  pur non potendolo compiere.
                         (54)  La  “volontà  fa  la  ricompensa  o  il  supplizio”  nel  cielo  o
                  nell’inferno, perché essendo presupposta la conoscenza di Dio, la volontà
                  si attacca a lui per amore, o lo odia con ostinazione.

                         (55) Si può considerare in particolare un triplice bene: anzitutto la
                  tentazione provoca la lotta e così fortifica la virtù; poi obbliga l’uomo a
                  fare atti di esplicita adesione alla virtù contro la quale essa si produce, il
                  che è un’altra perfezione; infine in questa adesione e in questa lotta sono
                  naturalmente compresi molti atti virtuosi e per conseguenza meritori. Vi
                  sono dunque possibili vantaggi sia per le disposizioni sia per gli atti.

                         (56) Gb. 7, 1.

                         (57) Cant. VIII, 6.

                         (58) Si tratta qui dell’anima “in quanto è umana “ ed è come tale
                  che è più presente là dove ama che non dove dà la vita.
                         (59)  Senza  la  carità  non  vi  è  virtù  perfetta,  perché  senza  essa
                  nessuna virtù conduce l’uomo al suo ultimo fine che è Dio, sebbene possa
                  condurlo  a  un  fine  subalterno.  Ed  è  in  questo  senso  che,  secondo  gli

                  antichi teologi, la carità è la “forma” delle altre virtù, poiché per essa gli
                  atti  di  tutte  le  altre  virtù  sono  soprannaturalizzati  e  diretti  al  loro
                  legittimo fine che è Dio. Cfr. T. Th. Sum. 2, 2.ae, q. 23, a. 7, 8.
                         (60) Mt. 22, 40.

                         (61) Rm. 13, l0.





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