Page 56 - Teologia tedesca
P. 56

alle due parole dette da Cristo. La prima: «Nessuno viene al Padre se non
                  tramite me», ovvero attraverso la mia vita, come prima si è detto. La se-
                  conda  parola:  «Nessuno  viene  a  me»  -  ovvero:  perché  assuma  su  di  sé
                  questa  vita  e  mi  segua  -  «se  non  è  toccato  e  attirato  dal  Padre»,  cioè
                  dall’unico perfetto bene, di cui san Paolo dice: «Quando giunge il perfet-
                  to, si annienta il frammentario» (1 Cor 13,10). Ovvero: nell’uomo in cui
                  questo perfetto è conosciuto, esperimentato e gustato, quanto è possibile
                  in questa temporalità, in lui tutte le cose create sembrano niente di fronte
                  a questo perfetto, come in verità è. Giacché al di fuori del perfetto e senza
                  esso non c’è alcun vero essere o vero bene. Dunque, chi ha, conosce o ama
                  il perfetto, ha e conosce tutto ed ogni bene. Cosa dovrebbe desiderare in-
                  fatti di più o d’altro, o cosa dovrebbero importargli le parti, se le parti so-
                  no tutte unite nel perfetto, nell’unico essere?
                  Quanto abbiamo qui detto si riferisce alla vita esteriore ed è una via e un
                  accesso a una vita vera, interiore. Questa comincia così: quando l’uomo
                  ha gustato il perfetto, per quanto è possibile, tutte le cose create, e l’uomo
                  stesso, gli divengono un nulla. E, in quanto l’uomo riconosce in verità che
                  solo il perfetto è tutto e al di sopra di tutto, ne segue di necessità che deb-
                  ba attribuire ogni bene al perfetto soltanto, e non a creatura alcuna: ovve-
                  ro  essere,  vita,  conoscenza,  scienza,  capacità,  ecc.  Ne  segue  che  l’uomo
                  non si attribuisce niente: né vita, essere, capacità, né sapere, fare o non fa-
                  re, insieme a tutto quel che si può chiamare bene. Così l’uomo diviene del
                  tutto povero e si annienta in se stesso, e in lui e con lui ogni qualcosa, ov-
                  vero ogni cosa creata. Allora soltanto comincia una vita vera, interiore, e
                  da allora in poi Dio stesso diventa quell’uomo, in modo che non v’è più
                  nulla che non sia Dio o di Dio, e nulla più che egli si possa attribuire. Così
                  è, vive, conosce, può, ama, vuole, fa e non fa Dio, l’Uno eternamente per-
                  fetto. In verità dovrebbe essere così, e, se è in altro modo, potrebbe certo
                  esservi una condizione migliore e più giusta.
                  Una buona via e un buon accesso è anche accorgersi che la cosa migliore è
                  la più cara, e dunque sceglierla, tenersi ed unirsi ad essa. Innanzitutto fra
                  le creature. Ma qual è la cosa migliore tra le creature? Fa’ attenzione! Do-
                  ve l’eterno, perfetto bene e ciò che gli appartiene sono più manifesti ed
                  operano, e sono conosciuti ed amati. Ma cos’è quel che è di Dio e gli ap-
                  partiene? Io dico: è tutto ciò che a buon diritto e in verità si chiama e si
                  può chiamare bene. Se dunque nelle creature ci si tiene a quanto di me-
                  glio si può conoscere, si, rimane lì e non lo si getta via, si perviene allora
                  sempre a qualcosa di meglio, e così via, finché si conosce e si gusta che

                  l’Uno eterno, perfetto, sta incommensurabilmente al di sopra di ogni bene
                  creato.





                                                                                                     54
   51   52   53   54   55   56   57   58