Page 5 - Prima Catechesi Cristiana
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dell’avvento del Signore e credettero che egli sarebbe venuto, come noi crediamo che è venuto. Difatti
Giacobbe, nascendo, mise fuori dal grembo materno dapprima la mano, con cui teneva il piede del fratello
già nato, poi il capo e infine necessariamente le altre membra; e nondimeno il capo supera per dignità e
valore non solo le membra che lo hanno seguito, ma anche la mano stessa che nel momento della nascita
l’ha preceduto; esso ha il primo posto nell’ordine della natura, benché non lo abbia avuto rispetto al tempo
in cui è apparso. Allo stesso modo anche il Signore Gesù Cristo prima di apparire nella carne e in certa
maniera uscire dal grembo del suo mistero, uomo dinanzi agli occhi degli uomini, mediatore fra Dio e gli
uomini, lui che è sopra tutti Dio benedetto nei secoli, nei santi Patriarchi e Profeti mandò avanti una parte
del suo corpo tramite cui, preannunciando la sua nascita come con la mano, tener a freno con i vincoli
della legge, come con le cinque dita, il popolo che lo precedeva orgoglioso. Poiché nel corso delle cinque
articolazioni decisive della storia non cessò di preannunciare e profetare la sua venuta: e in accordo a ciò,
colui tramite il quale fu data la legge scrisse cinque libri e quegli uomini superbi che sentivano secondo la
carne e volevano stabilire la propria giustizia non furono provveduti abbondantemente di benedizioni
dalla mano aperta di Cristo, ma tenuti a bada dalla sua mano saldamente serrata, e così i loro piedi furono
impediti ed essi caddero, ma noi ci siamo levati e restiamo in piedi. Dunque, benché – come ho detto –
Cristo Signore abbia mandato avanti una parte del suo corpo nella figura dei santi che lo hanno preceduto
rispetto al tempo della sua nascita, egli tuttavia è il capo del corpo della Chiesa; e tutti quei santi si sono
uniti a quel medesimo corpo, di cui è capo, credendo in Colui che preannunciavano. L’averlo, infatti,
preceduto non ha comportato la loro separazione da lui; al contrario, l’avergli reso testimonianza ha
comportato un maggior legame con lui. Poiché, per quanto la mano possa essere mandata avanti rispetto al
capo, tuttavia la sua articolazione sta sotto il dominio del capo. Di conseguenza tutte le cose che sono
state scritte prima, sono state scritte perché ci fossero di insegnamento e hanno rappresentato figure
esemplari per noi; esse accadevano a loro in modo di prefigurazione, ma sono state scritte per noi, cui è
venuta incontro la fine dei tempi.
Il motivo della venuta del Signore consiste nell’amore di Dio verso gli uomini.
4. 7. Ora, qual è il motivo più grande della venuta del Signore se non quello di mostrare da parte di Dio
l’amore che ha per noi, raccomandandocelo sommamente? Perché mentre eravamo ancora suoi nemici,
Cristo è morto per noi. E per ciò fine del precetto e pienezza della legge è la carità, così che pure noi ci
amiamo l’un l’altro e, come egli ha dato la propria vita per noi, anche noi diamo la nostra per i fratelli; se
un tempo si provava riluttanza ad amarlo, almeno ora non la si deve più provare nel rendere l’amore a
quel Dio che per primo ci ha amati e non ha risparmiato il suo unico Figlio, ma lo ha dato per noi tutti.
Non vi è infatti invito più efficace ad amare che esser primi nell’amare; e troppo duro è il cuore che, non
avendo voluto spendersi nell’amare, non voglia neppure contraccambiare l’amore. Lo vediamo anche
negli amori scandalosi e sordidi: chi vuol essere riamato non fa altro che manifestare e ostentare, per
mezzo di ogni prova a sua disposizione, quanto ami; questi cerca di addurre come giustificazione un
motivo apparentemente legittimo, per cui, in certo modo, pretende d’essere corrisposto da quel cuore che
si sforza di sedurre; egli stesso si infiamma di più ardente passione quando si accorge che il cuore bramato
già è arso dal medesimo fuoco. Se quindi per un verso un cuore intorpidito si desta, quando senta d’essere
amato, e per altro verso un cuore già ardente di passione s’infiamma maggiormente, quando sappia
d’essere riamato, è evidente che non vi è motivo più grande perché l’amore cominci o aumenti con il
sapere d’essere amati, da parte di chi ancora non ama, oppure, da parte di chi ama per primo, con lo
sperare di poter essere riamato o con l’averne già prova. E se ciò accade anche negli amori turpi, quanto
più accade nell’amicizia! Infatti, per non scalfire l’amicizia, di che ci preoccupiamo se non di evitare che
il nostro amico creda che non lo amiamo meno di quanto ci ami lui? Poiché se avesse quest’impressione,
quell’amore, sulla cui base gli uomini instaurano rapporti di mutua amicizia, sarebbe in lui più freddo. E
se pure quegli non è tanto inconsistente da permettere che una tale ferita smorzi in lui ogni affetto, si
comporterà come uno che ama non perché ne gioisce, ma perché lo vuole. Inoltre vale la pena osservare
che, quantunque i superiori vogliano essere amati dagli inferiori, dilettandosi dell’ossequio zelante di cui
sono fatti oggetto, e li amino tanto più quanto più ne avvertono le manifestazioni, nondimeno un inferiore,
quando si accorge di essere amato da un superiore, corrisponde con un affetto molto più grande. Di fatto
l’amore è più accetto là dove non arde per l’arsura provocata dalla necessità, ma dove sgorga abbondante
dalla ricchezza della benignità: giacché l’uno nasce dal bisogno, l’altro dalla benevolenza. Oltre a ciò, se
l’inferiore disperava di poter essere amato dal superiore, sarà mosso ad amarlo al di là di ogni dire quando
questi, di propria volontà, si sia degnato di mostrargli quanto ami lui, che mai avrebbe osato sperare un
bene così grande. Ora, che cosa è più grande di Dio giudice, che cosa più privo di speranza dell’uomo
peccatore? Quell’uomo che tanto più si era messo nelle mani di potenze superbe incapaci di dare felicità,
per essere tutelato e soggiogato, quanto più aveva disperato che quella potenza, la quale intende esser
Agostino – Catechesi cristiana pag. 3 di 24