Page 3 - Prima Catechesi Cristiana
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AGOSTINO DI IPPONA

                                    PRIMA CATECHESI CRISTIANA



                  L’occasione dello scritto.

                  1. 1. Mi hai chiesto, caro fratello Deogratias, di scriverti qualcosa che possa esserti utile sulla catechesi da
                  fare  a  chi  è  nuovo  nella  fede.  Infatti,  come  hai  detto,  spesso  a  Cartagine,  dove  sei  diacono,  ti  sono
                  condotte persone da iniziare in tutto e per tutto alla fede cristiana, per il fatto che hai fama d’essere un
                  ottimo catechista, per la dottrina che metti in opera nell’esporre la fede e per il fascino che eserciti nel
                  porgere il discorso. Ma, come hai aggiunto, da parte tua quasi sempre ti trovi in difficoltà sul come debba
                  essere  opportunamente  presentato  ciò  che,  se  vi  aderiamo,  ci  fa  cristiani.  Ti  chiedi  da  dove  abbia  a
                  cominciare e fin dove abbia da esser condotta l’esposizione storica; se terminata quest’ultima, dobbiamo
                  ricorrere  a  qualche  esortazione  oppure  solamente  a  precetti,  osservando  i  quali  chi  ascolta  sappia  poi
                  mantenere  cristiana  la  propria  vita  e  la  propria  professione  di  fede.  Inoltre  mi  hai  confidato,
                  lamentandotene,  che  spesso  ti  è  accaduto, durante un lungo discorso privo di calore, di svilirti ai tuoi
                  occhi e di esser colto da fastidio tu stesso e tanto più coloro che con la tua parola iniziavi e gli altri che
                  stavano ad ascoltare. Messo alle strette da tali necessità, ti sei sentito spinto a forzare il mio volere, perché
                  in  nome  della  carità  che  ti  devo,  di  buon  grado  tra  le  mie  occupazioni,  ti  scrivessi  qualcosa
                  sull’argomento.

                  1. 2. Per quanto mi compete, mi sento costretto da quella carità e da quel servizio che debbo prestare non
                  solo  a  te  personalmente,  ma  universalmente  alla  nostra  madre  Chiesa  a non rifiutare in alcun modo il
                  compito propostomi, ma anzi ad accoglierlo con volontà pronta e fedele, se tramite l’opera mia, che per la
                  generosità  del  Signore  nostro  sono  in  grado  di  adempiere,  il  Signore  stesso  mi  ordina  di  aiutare  in
                  qualcosa coloro che mi ha dato come fratelli. Infatti quanto più desidero ardentemente che il tesoro del
                  Signore  sia  dispensato  con  larghezza,  tanto  più,  se  so  che  i  miei  confratelli  trovano  difficoltà  nel
                  dispensarlo, occorre che faccia quanto sta in me perché essi possano compiere con facilità e prontezza ciò
                  che desiderano con diligenza e zelo.
                  Osservazioni introduttive.

                  2. 3. Dunque, per venire alla tua osservazione, non vorrei che fossi turbato dal fatto che spesso ti è parso
                  di fare un discorso trascurato e fastidioso. Infatti, può darsi che non sia parso tale a chi rivolgevi il tuo
                  insegnamento,  ma  poiché  tu  desideravi  far  udire  qualcosa  di  meglio,  può  darsi  che  ti  sia  parso
                  immeritevole d’essere ascoltato da altri ciò che andavi esponendo. Del resto anche a me quasi sempre i
                  discorsi che faccio non piacciono dal momento che è mio ardente desiderio farne altri migliori: e molte
                  volte li gusto interiormente prima di cominciare a svilupparli con il suono delle parole; se poi mi riescono
                  inferiori rispetto a quelli che avevo concepito dentro di me, mi rattristo perché la lingua non è in grado di
                  corrispondere al mio sentire profondo. Vorrei infatti che chi mi ascolta vedesse con la mente ciò che io
                  vedo; invece mi accorgo di non esprimermi in modo da riuscire nell’intento, soprattutto perché la visione
                  pervade l’animo, per così dire, con la rapidità di un baleno, mentre l’espressione è tarda, prolissa e molto
                  diversa; mentre questa si sviluppa, quella già si è ritirata nei suoi recessi. Tuttavia, poiché la visione della
                  mente in modo mirabile lascia impresse nella memoria tracce pur labili, queste permangono nella durata
                  delle sillabe; da tali tracce ricaviamo quel complesso di segni fonetici che si chiama lingua, sia essa la
                  latina o la greca o l’ebraica o qualsivoglia altra, sia che tali segni vengano pensati sia che vengano anche
                  vocalmente proferiti. In vero, le tracce di cui si è detto non sono né latine né greche né ebraiche e neppure
                  appartengono  ad  alcun’altra  gente,  ma  si  producono  nell’animo  così  come  nel  corpo  si  produce
                  l’espressione del viso. Di fatto la collera  è designata con un termine in latino, con un altro termine in
                  greco e con altri termini ancora in altre lingue. Ma l’espressione del viso di un uomo adirato non  è né
                  greca né latina. Pertanto se uno dice: Iratus sum (Sono adirato), non tutti lo capiscono, ma solo i latini; al
                  contrario, se la passione di un animo in collera si manifesta sul volto e ne cambia l’espressione, tutti si
                  accorgono di trovarsi di fronte ad un uomo adirato. Certo, però, non è possibile con il suono prodotto
                  dalla voce esprimere e, per così dire, porgere alla percezione di chi ascolta quelle tracce impresse nella
                  memoria della visione intellettuale nella forma chiara e manifesta con cui le rende l’espressione del viso;
                  le une, infatti, si trovano dentro, nell’animo, l’altra fuori, nel corpo. Per la qual cosa possiamo opinare
                  quale sia il divario tra il suono della voce e l’impronta della visione intellettuale, dal momento che non è




                  Agostino – Catechesi cristiana                                              pag. 1 di 24
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