Page 4 - Lettera a Proba
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raccomanda di essere ricchi di opere buone, di essere propensi a dare, di mettere gli altri
                  a parte dei loro beni, di accumulare un bel capitale per il futuro e poter così acquistare la
                  vita vera?

                  I veri beni.

                  2. 3. Per amore della vita vera devi quindi considerarti anche desolata nella vita
                  di quaggiù per quanto grande possa essere la felicità in cui ti trovi. Come infatti
                  la  vera  vita  è  quella,  al  cui  confronto  questa  nostra,  da  noi  tanto  amata,  per
                  quanto piacevole e lunga, non merita d’esser chiamata vita, così anche la vera
                  consolazione è quella che promette Dio parlando per bocca del profeta: Gli darò
                  il vero conforto, la pace superiore ad ogni altra pace. Senza questo conforto, in tutte
                  le  altre  gioie  terrene  si  trova  più  desolazione  che  consolazione.  Quale
                  consolazione infatti possono arrecare le ricchezze, le più alte dignità e gli altri
                  beni di tal fatta per i quali i mortali, prima della vera felicità, si credono felici,
                  quando  è  meglio  non  averne  bisogno  che  segnalarsene,  dal  momento  che  ci
                  tormenta  più  il  timore  di  perderli,  una  volta  che  si  sono  acquistati,  che  non
                  l’ardore di acquistarli? Gli uomini non diventano buoni per mezzo di tali beni,
                  ma  coloro  che  lo  sono  diventati  con  altri  mezzi  fanno  si  che  quei  beni  siano
                  buoni usandone bene. I veri conforti non sono dunque in tali beni, ma piuttosto
                  là dov’è la vera vita, poiché l’uomo deve diventar beato mediante ciò stesso con
                  cui diventa buono.


                  Preziosi gli amici, ma come conoscerne il cuore?
                  2.  4.  Ma  anche  in  questa  vita  i  buoni  arrecano,  a  quanto  pare,  non  piccoli
                  conforti. Se infatti ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse
                  inquieti  un  malanno  fisico,  ci  rattristasse  l’esilio,  ci  tormentasse  qualche  altra
                  calamità,  ma  ci  fossero  vicine  delle  persone  buone  che  sapessero  non  solo
                  godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono, che
                  sapessero  rivolgere  parole  di  sollievo  e  conversare  amabilmente,  allora
                  verrebbero  lenite  in  grandissima  parte  le  amarezze,  alleviati  gli  affanni,
                  superate le avversità. Ma questo effetto è prodotto in essi e per mezzo di essi da
                  Colui che li rese buoni col suo Spirito. Nel caso invece che sovrabbondassero le
                  ricchezze,  che  non  ci  capitasse  nessuna  perdita  di  figli  o  del  coniuge,  che
                  fossimo  sempre  sani  di  corpo,  che  abitassimo  nella  patria  preservata  da
                  sciagure,  ma  convivessero  con  noi  individui  perversi  fra  i  quali  non  ci  fosse
                  nessuno  di  cui  fidarci  e  da  cui  non  dovessimo  temere  e  sopportare  inganni,
                  frodi,  ire,  discordie,  insidie,  non  è  forse  vero  che  tutti  questi  beni
                  diventerebbero  amari  e  insopportabili  e  che  nessuna  gioia  o  dolcezza
                  proveremmo in essi? Così in tutte le cose umane nulla è caro all’uomo senza un
                  amico. Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza
                  riguardo  all’animo  e  alla  condotta  in  questa  vita?  Nessuno  conosce  un  altro
                  come conosce sé stesso: eppure nessuno è tanto noto nemmeno a sé stesso da
                  poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo. Perciò, benché molti
                  si  facciano  conoscere  dai  loro  frutti  e  alcuni  arrechino  veramente  letizia  al
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