Page 37 - La natura del corpo e dell'anima
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115.  Uno  spirito  retto,  credo,  è  quello  per  cui  avviene  che  l’anima  non  può
                  deviare ed errare nel cercare la verità. E certamente non può sorgere in essa se
                  prima il cuore non è stato mondato, cioè se prima il pensiero non si sia raccolto
                  in sé e liberato da ogni desiderio e da ogni impurità delle cose mortali.
                  Ma ormai l’anima è nella visione stessa e nella contemplazione della verità, che
                  è per essa il settimo e ultimo grado, e non è ormai più un grado ma uno stato
                  permanente al quale si perviene attraverso i gradi indicati. Quale sia la gioia,
                  quale  il  godimento  del  vero  e  sommo  bene,  quale  l’afflato  di  serenità  che
                  l’avvolge, lo intende solo chi ne gode.

                  [Anabathmos]
                  Per  questi  gradi,  dunque,  l’anima  fedele  e  ardente  di  desiderio  compie  con
                  fervido zelo il suo anabathmos, cioè la sua ascensione, e dispone «le ascensioni
                  nel  suo  cuore»,  finché  non  pervenga  in  quel  luogo  che  Dio  ha  preparato  e
                  disposto per lei. Vive, come dice l’Apostolo, della vita di Dio, cioè di una vita
                  spirituale  nella  gioia  dello  Spirito  santo,  nella  speranza  dei  figli  di  Dio,  nella
                  contemplazione e nell’imitazione della suprema giustizia.

                  116. Per il tempo in cui vive qui, per il tempo in cui, qui, vede in parte come «in
                  uno specchio» e «in modo enigmatico», vive inoltre usando delle sue passioni
                  naturali  in  tal  maniera  che,  sebbene  si  trovi  nella  carne,  non  vive  secondo  la
                  carne, e quasi diviene impassibile. Anche le passioni non sono per lei passioni,
                  ma virtù: non teme infatti se non per un casto timore; non prova dolore se non
                  perché è lontana dal regno; gioendo nell’immensità della carità, percorre lieta
                  «la  via  dei  comandamenti  di  Dio»,  tutto  credendo,  tutto  sperando,  tutto
                  sostenendo nella pace dell’amore per la contemplazione del suo fine. E ciò di
                  cui gioisce e ciò che sopporta è ciò che attende; può dolcemente riposare in esso
                  nella  speranza  fin  quando  «restano  la  fede,  la  speranza,  la  carità,  queste  tre
                  virtù».

                  117. Quando «la morte» sarà stata «assorbita nella vittoria», e «avrà fine ciò che
                  è in parte», non ci sarà pii né fede né speranza, ma soltanto la realtà; distrutti il
                  timore e il dolore, e superate la fede e la speranza, in essa regnerà ed esulterà
                  «la  più  grande  di  tutte,  la  carità».  Ci  sarà  allora  l’entrata  «nella  gioia  del
                  Signore»,  in  cui  l’anima  beata  entrerà  lietamente  per  vivervi  in  eterno  e  per
                  risorgere in modo meraviglioso con quel corpo che è suo, perché esso, che fu
                  partecipe della fatica, sia anche partecipe della gloria nella vita eterna.

                  [Catabathmos]
                  L’anima degenere che non ha dato frutto, invece, se pur deve dirsi anima quella
                  che ha ucciso se stessa ed è morta in se stessa, compie un catabathmos, cioè una
                  discesa verso ciò  che è inferiore;  anzi, non discende ma precipita; essa, che è
                  «nella corruzione, si corrompe ancora di più», e fa e  sopporta tutto ciò che è
                  contrario al bene, «resa estranea alla vita di Dio».
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