Page 3 - Libretto della Vita Perfetta
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Enrico Suso
Libretto della vita perfetta
Prologo
Sull’abbandono interiore e sulla buona
distinzione che si deve avere nella ragione
Ecce enim veritatem dilexisti, incerta et
occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
C’era un uomo in Cristo che s’era esercitato, nei suoi tempi giovanili, secondo
l’uomo esteriore, su tutti i punti in cui sono soliti esercitarsi i principianti, ma
restava inesperto l’uomo interiore quanto al suo più alto abbandono, e lui
sentiva bene che qualcosa gli mancava, ma non sapeva che cosa. Avendo
trascorso così lungo tempo, molti anni, ebbe una volta un raccoglimento, nel
quale fu tratto in se stesso e gli fu detto così internamente: «Devi sapere che
l’abbandono interiore porta l’uomo alla più alta verità».
Però quella nobile parola gli era allora barbara e sconosciuta, e aveva tuttavia
molto amore per tale cosa, ed era spinto assai fortemente verso questa stessa
cosa [pensando] se prima della morte potesse arrivare a conoscerla chiaramente
e conseguirla a fondo. Così giunse a essere avvertito e ispirato che nello
splendore di quella medesima immagine vi stesse nascosto un falso fondo di
disordinata libertà, e vi stesse ricoperto un grave danno per la santa cristianità.
Egli se ne spaventò e sentì per qualche tempo in se stesso una ripugnanza verso
la chiamata interiore.
E una volta ebbe in se stesso un forte rapimento, e gli si fece lume da parte della
divina Verità, che non doveva avervi nessun abbattimento; perché è sempre
stato e dovrà essere sempre che il male si celi dietro il bene, e non si deve perciò
rigettare il bene a causa del male. E intese dire che nell’Antico Testamento,
quando Dio per mezzo di Mosè operò i suoi veri miracoli, i maghi vi
mischiarono i loro falsi; e quando venne Cristo, vero Messia, vennero alcuni
altri e dimostrarono falsamente di esserlo ugualmente. Ed è così dovunque, in
ogni cosa, e perciò il bene non si deve rigettare con il male, ma si deve scegliere
mediante una buona distinzione, come fece la bocca divina. E spiegò che non