Page 3 - La vera religione
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AGOSTINO DI IPPONA

                                               LA VERA RELIGIONE



                  Disaccordo tra dottrina e culto nei filosofi pagani.
                  1. 1. La via che conduce alla vita buona e felice risiede nella vera religione,
                  con cui si onora l’unico Dio e, con purissima pietà, si riconosce in Lui il
                  principio  di  tutte  le  creature,  per  il  quale  l’universo  ha  un  inizio,  un
                  compimento ed una capacità di conservazione. Da ciò emerge con maggiore
                  evidenza l’errore di quei popoli che preferirono adorare una moltitudine di
                  dèi anziché l’unico vero Dio, Signore di tutto; tale errore è in relazione al
                  fatto che i loro sapienti, chiamati filosofi, pur appartenendo a scuole tra loro
                  in contrasto, frequentavano i medesimi luoghi di culto. Non sfuggiva infatti
                  né ai popoli né ai sacerdoti quanto fossero diverse le loro posizioni sulla
                  natura degli dèi, dal momento che nessuno di essi aveva ritegno a rendere
                  pubblica la propria opinione e, se possibile, faceva in modo da persuaderne
                  gli altri; eppure tali sapienti, insieme ai loro seguaci, anch’essi di opinione
                  diversa e perfino contraria, partecipavano tutti agli stessi riti sacri, in piena
                  libertà. Ora, non si tratta di stabilire chi di loro abbia pensato in maniera più
                  conforme al vero; di certo però, a quanto mi sembra, è abbastanza chiaro che
                  essi, in materia di religione, con il popolo sostenevano una posizione, mentre
                  in privato, ma con lo stesso popolo che ascoltava, ne difendevano un’altra.

                  Socrate si libera dell’idolatria, ma resta ancora lontano dal vero Dio.
                  2. 2. Si dice comunque che Socrate fosse più impudente degli altri, in quanto
                  giurava su qualsiasi cane o pietra o cosa che si trovasse davanti o che, per
                  così dire, gli capitasse per le mani al momento di giurare. A mio avviso,
                  comprendeva che qualsiasi opera della natura, generata con il governo della
                  divina provvidenza, è di gran lunga migliore di quelle fatte dagli uomini e
                  da qualsivoglia artigiano, e perciò è più degna di onori divini degli oggetti
                  che sono adorati nei templi. Quindi lo faceva non  già perché davvero i
                  sapienti dovessero adorare la pietra e il cane, ma perché, in tal modo, chi ne
                  era  capace  comprendesse  che  gli  uomini  erano  sprofondati  in  una
                  superstizione così grande che occorreva mostrare, a chi ne stava uscendo,
                  che il livello a cui si era pervenuti era tanto turpe, perché si rendesse conto
                  che, se era vergognoso pervenirvi, molto di più lo era restare ad un livello
                  ancora più turpe. Nello stesso tempo, a coloro i quali credevano che questo
                  mondo visibile fosse il sommo Dio, faceva rilevare la loro bassezza morale,
                  mostrando  che  ne  scaturiva,  come  conseguenza,  l’opinione  per  cui  era
                  legittimo adorare una pietra qualsiasi allo stesso modo di una sua particella.
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