Page 117 - La nube della non conoscenza
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che è bene tralasciare di tanto in tanto le ricerche delle nostre facoltà curiose,
                  per  imparare  a  gustare  qualcosa  dell’amore  di  Dio  all’interno  della  tua
                  esperienza spirituale.
                  A  questa  percezione  arriverai  per  la  strada  che  ti  ho  mostrato,  aiutato  dalla
                  grazia preveniente  li Dio.  In  altre  parole, abbandonati  sempre  di più  e  senza
                  mai stancarti, alla nuda coscienza del tuo io, offrendo in continuazione a Dio il
                  tuo essere come l’offerta più preziosa che tu possa presentargli. Ma bada bene,
                  come  ho  detto  più  volte,  che  sia  una  percezione  nuda,  altrimenti  cadresti  in
                  errore.
                  Se dunque è nuda, all’inizio sarà per te motivo di grande sofferenza restare in
                  questo  stato,  perché,  lo  ripeto  ancora,  le  tue  facoltà  non  vi  troveranno  alcun
                  alimento.  Non  importa;  se  fossi  al  tuo  posto  l’amerei  ancora  di  più.  Fa’
                  digiunare  per  un  po’  le  tue  facoltà,  te  ne  prego,  così  che  non  trovino  la
                  soddisfazione  naturale  insita  nel  conoscere.  Come  è  stato  giustamente  detto,
                  l’uomo per natura desidera conoscere Ma in verità, è solo per la grazia che può
                  gustare l’esperienza spirituale di Dio, quali che siano le sue capacità intellettuali
                  o  la  sua  scienza.  Cerca  perciò  di  aver  coscienza,  te  ne  prego,  invece  di
                  conoscenza.  Il  sapere a  volte  fa  cadere  in  errore  a  causa  dell’orgoglio;  invece
                  questa  esperienza  d’amore  che  si  ottiene  nell’umiltà,  non  può  ingannare.
                  «Scientia  inflat,  caritas  aedificat».  La  conoscenza  intellettuale  esige  fatica,
                  l’esperienza spirituale dona il riposo.
                  A  questo  punto  puoi  anche  dirmi:  «Di  quale  riposo  parli?  Tutto  mi  sembra
                  fatica e sofferenza, non certo riposo. Quando mi metto a lavorare secondo le tue
                  indicazioni, non trovo altro che pena e battaglia da tutte le parti. Da una parte le
                  mie facoltà vorrebbero distogliermi dal mio lavoro, ma io non voglio; dall’altra,
                  io  vorrei  aver  coscienza  di  Dio  e  perdere  coscienza  di  me  stesso,  ma  non  ci
                  riesco.  Come  vedi,  è  battaglia  da  tutte  le  parti  e  grande  pena:  se  questo  è  il
                  riposo di cui parli, per conto mio è un riposo ben strano!».
                  Ti rispondo subito: non sei ancora avvezzo a questo lavoro, ed ecco il motivo
                  per cui ti procura una sofferenza più grande del dovuto. Se invece tu fossi già
                  allenato  e  potessi  sapere  per  esperienza  quanto  profitto  deriva  da  un  simile
                  lavoro,  non  vorresti  lasciarlo  perdere,  di  tua  spontanea  volontà,  per  tutto  il
                  riposo del corpo e tutte le gioie di questo mondo. Eppure devo confessare che
                  non  è  esente  da  grandi  fatiche  e  dolori.  Ma  io  lo  chiamo  ugualmente  riposo,
                  perché l’anima non ha dubbi su cosa fare, e in più è resa certa, durante il tempo
                  che dedica a questo lavoro, di non cadere in grave errore.
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