Page 332 - Il Sacro Corano
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Appendice 9:


                                    A proposito del concetto di “jihâd”


                  Il  termine  “jihâd”  significa  "sforzo".  Il  “jihâd  fî-sabîli-llâh”  è  lo  sforzo  sulla  via  di  Allah.
                  Nonostante l’interpretazione volutamente riduttiva che si segue in Occidente questa parola  è
                  pregna di una quantità di significati e designa atteggiamenti diversi. Cominciamo pure dal più
                  noto, quello dello sforzo militare, a cui sono chiamati i credenti per difendere la loro Comunità.
                  Allah dice: “Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite. Ebbene, è possibile che
                  abbiate avversione per qualcosa che invece è un bene per voi, e può darsi che amiate una cosa
                  che invece vi è nociva. Allah sa e voi non sapete (II, 216). Quando la Comunità dei musulmani è
                  aggredita,  minacciata,  oppressa  o  perseguitata,  i  credenti  hanno  il  dovere  di  combattere
                  esercitando  il  loro  diritto  -  dovere  alla  legittima  difesa.  E’  scritto  nel  Corano:  “coloro  che  si
                  difendono quando sono vittime dell’ingiustizia” (XLII, 39). La guerra obbedisce a precise norme
                  chiaramente stabilite dal Libro di Allah e dalla Sunna dell’Inviato (pace e benedizioni su di lui).
                  Allah  dice:  “Combattete  per  la  causa  di  Allah  contro  coloro  che  vi  combattono,  ma  senza
                  eccessi,  ché  Allah  non  ama  coloro  che  eccedono”  (II,  190).  E’  evidente  che  la  guerra  ha  solo
                  carattere difensivo e che deve essere condotta senza lasciarsi mai andare all’efferatezza e alla
                  crudeltà.  Disse  il  Profeta  (pace  e  benedizioni  su  di  lui):  “Non  uccidete  i  vecchi,  i  bambini,  i
                  neonati e le donne”; e disse: “I credenti sono i più umani anche negli scontri più crudeli”; vietò
                  di utilizzare il fuoco come arma contro le genti, vietò il taglio degli alberi e l’inquinamento delle
                  acque. Il diritto islamico precisa le norme della dichiarazione di guerra, dell’ingiunzione della
                  resa, del trattamento dei prigionieri e del loro riscatto. La belligeranza è intesa come condizione
                  eccezionale,  che  deve  cessare  il  più  presto  possibile.  Dopo  i  versetti  che  ordinano  la  guerra
                  contro oppressori e persecutori dice Allah nel Santo Corano: “Combatteteli finché non ci sia più
                  persecuzione e il culto sia [reso solo] ad Allah. Se desistono non ci sia ostilità, a parte contro
                  coloro che prevaricano. ” (II, 193). Quando la guerra si conclude con la conquista da parte dei
                  musulmani di un territorio abitato da gente appartenente ad una delle religioni del Libro, la
                  condizione  dei  cittadini  non  musulmani  in  uno  Stato  retto  dalla  legge  islamica  è  quello  di
                  dhimmy  (protetti). Essendo esentati dalla zakât (la decima) essi sono sottoposti  al pagamento
                  della  “jizya”  (l’imposta  di  protezione)  e  possono  vivere  indisturbati  partecipando  alla  vita
                  sociale e amministrativa dello Stato. La loro incolumità è garantità da un hadith dell’Inviato di
                  Allah (pace e benedizioni su di lui) che disse: “Nel Giorno della Resurrezione, io stesso sarò
                  nemico di chi ha dato fastidio ad un protetto”. La guerra può essere parziale o totale. Nel primo
                  caso sarà sufficiente che una parte dei credenti vi partecipino, per assolvere l’obbligo di tutta la
                  comunità.  Se  invece  si  tratta  di  una  guerra  totale,  tutti  i  credenti  sono  tenuti  a  parteciparvi,
                  ognuno secondo le sue condizioni e possibilità.
                  Quelli  che  partecipano  alla  lotta  sulla  via  di  Allah  sono  chiamati  mujâhidîn,  godono  della
                  massima  considerazione  della  loro  comunità  in  questa  vita  e,  nell’altra  sono  tra  coloro  che
                  staranno più vicini al loro Signore. Se Allah concede loro la vittoria, li colma di onore e bottino;
                  se perdono la vita nella lotta, Egli perdona i loro peccati e li accoglie presso di Se. Egli dice nel
                  Suo Libro Sublime: “Non  considerare morti quelli che sono stati uccisi sul Sentiero di Allah.
                  Sono  vivi  invece  e  ben  provvisti  dal  loro  Signore,  lieti  di  quello  che  Allah,  per  Sua  grazia,
                  concede. ” (III, 169-170). Disse l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui): “Chi combatte
                  per la causa di Allah, e Allah bene conosce colui che lo fa solo per Lui,  è paragonabile a chi
                  digiuna e prega in continuazione. Allah garantisce il Paradiso al mujâhid che incontra la morte.
                  Se ritorna dal jihâd sano e salvo, gli concede bottino e ricompensa. Il jihâd è la lotta per il bene,
                  per il trionfo della Parola di Allah, per la sua diffusione tra i popoli del mondo. Questa lotta
                  può anche essere svolta in modo non violento. La parola, gli scritti, l’esempio del musulmano
                  sono altrettante sfide alla miscredenza e all’ingiustizia. Ogni comportamento che vada al di là
                  di quanto è obbligatorio e prescritto, nella pratica rituale, nell’attività lavorativa, nello studio,




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