Page 36 - Il Maestro
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14. 45. E i maestri dichiarano forse che siano ritenuti per l'apprendimento
                  i loro pensieri anziché le stesse discipline che pensano di trasmettere con
                  la  parola?  E  chi  è  cosi  scioccamente  amante  del  sapere  da  mandare  a
                  scuola  il  proprio  figlio  perché  apprenda  ciò  che  pensa  il  maestro?
                  Piuttosto,  quando  hanno  esposto  con  parole  tutte  le  discipline  che
                  dichiarano  d'insegnare,  comprese  quelle  della  morale  e  della  filosofia,
                  allora i così detti discepoli considerano nella loro interiorità se le nozioni
                  sono  vere,  sforzandosi,  cioè,  d'intuire  la  verità  ideale.  Soltanto  allora
                  apprendono  e  quando  scopriranno  nell'interiorità  che  le  nozioni  sono
                  vere,  lodano,  senza  pensare  che  non  lodano  i  docenti  ma  i  dotti  se,
                  tuttavia,  anche  costoro  sanno  quel  che  dicono.  S'ingannano  dunque  gli
                  uomini  nel  chiamare  maestri  quelli  che  non  lo  sono  perché  il  più  delle
                  volte  fra  il  momento  del  discorso  e  quello  della  conoscenza  non  v'è
                  discontinuità;      e     poiché      dopo      l'esposizione       dell'insegnante
                  immediatamente  apprendono  nell'interiorità,  suppongono  di  avere
                  appreso da colui che ha esposto dall'esterno.


                  ... ma riportandosi nell'interiorità.



                  14.  46.  Ma  un'altra  volta,  se  Dio  lo  concede,  esamineremo  l'utilità  della
                  parola  in  generale.  A  ben  considerarla,  non  è  trascurabile.  Ho  già
                  premesso  di  non  concederle  al  momento  più  del  necessario.  Non
                  dobbiamo  infatti  soltanto  aver  fede,  ma  cominciare  anche  ad  avere
                  intelligenza della verità di ciò che per divino magistero è stato scritto, che
                  cioè non dobbiamo considerare nessuno come nostro maestro sulla terra
                  poiché l'unico maestro di tutti è in cielo 19. Che cosa significhi poi in cielo
                  ce  lo  insegnerà  quegli,  dal  quale,  per  mezzo  degli  uomini  con  segni
                  dall'esterno, siamo avvertiti a farci ammaestrare rientrando verso di lui
                  nell'interiorità.  Amarlo  e  conoscerlo  è  felicità.  Tutti  gridano  di  cercarla,
                  pochi  si  allietano  di  averla  veramente  trovata.  Ed  ora  vorrei  che  tu  mi
                  dica che ne pensi di tutto questo mio discorso. Se conosci che è vera la tesi
                  esposta, interrogato sull'una o l'altra, avresti dovuto averne scienza. Puoi
                  comprendere dunque da chi le hai apprese. Non da me certamente perché
                  avresti risposto ad ogni mia domanda. Se poi non sai che la tesi è vera,
                  non  ti  ho  insegnato  né  io  né  lui:  io  perché  non  sono  mai  capace
                  d'insegnare,  lui  perché  tu  non  sei  ancora  capace  d'apprendere.
Ad.  -  Io
                  invece  ho  appreso  dall'avvertimento  contenuto  nelle  tue  parole  che
                  l'uomo  mediante  le  parole  è  soltanto  avvertito  ad  apprendere  e  che  è
                  molto poco un certo manifestarsi, mediante il discorso, del pensiero di chi
                  parla. Ho appreso inoltre che insegna se si può esprimere il vero quegli
                  soltanto  che,  mentre  parlava  dal  di  fuori,  ci  ha  avvertito  che  abita
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